Maurizio Cucchi nasce il 20 settembre del 1945 a Milano, dove ancora oggi vive e lavora. Figlio di Luigi e Tina, Cucchi cresce in una famiglia che gode dei vantaggi del boom economico industriale degli anni ’50, quando Luigi apre una piccola officina di tubi di scappamento per la casa automobilistica Innocenti. Prima di diventare un affermato industriale, Luigi Cucchi ha vissuto il dramma della Seconda Guerra mondiale come soldato impiegato nella sciagurata spedizione in Russia. La moglie Tina, invece, discende, per ramo paterno, da una famiglia di importanti architetti operanti a Catania, il cui fondatore è Stefano Ittar. Il primo choc della vita del poeta si registra nel 1957, in occasione della tragica scomparsa del padre, presentata al poeta bambino come un abbandono. Questa drammatica sparizione ha fortemente segnato la vita del poeta, diventando magma attivo durante tutta la sua produzione. Dopo il diploma di ragioneria, comincia l’attività di giornalista e si iscrive alla Facoltà di Magistero all’Università Cattolica di Milano, dove si laurea con una tesi su Nelo Risi e Andrea Zanzotto. Si dedica anche all’insegnamento fino al 1981 nella scuola media di Carate Brianza, attività che abbandona dopo la chiamata di Marco Forti e della casa editrice Mondadori. Collabora anche con Giovanni Raboni per Guanda Edizioni e scrive per importanti riviste quali Paragone, Belfagor, Nuovi Argomenti, Alfabeta, Rinascita, Studi Novecenteschi. I suoi interventi vengono pubblicati anche su alcune delle maggiori testate di tiratura nazionale quali L’Unità, Panorama, il Giornale, La Voce, Corriere della Sera, Repubblica, Lo Specchio de la Stampa. Sue sono anche traduzioni in italiano di diversi autori francesi otto e novecenteschi, come Flaubert, Stendhal e Prevert, nonché del Père Goriot di Balzac. Fa parte degli ideatori della Società di Poesia e del suo comitato di lettura, che ha promosso poeti come Conte, Lamarque, Santagostini, Zeichen. Gli anni ’90 segnano un momento di profonda svolta per la poesia di Cucchi. A seguito di un’intervista rilasciata a «La provincia di Como», il poeta riceve la telefonata della figlia di un commilitone di Luigi, che gli rivela la verità. Il poeta così scopre che il padre non è “disperso” (titolo della prima raccolta), ma morto per sua stessa volontà a Uggiate-Trevano nel 1957. La prima pubblicazione, con un’introduzione di Giovanni Giudici, risale al 1974, la quale prenderà la forma della sua prima silloge Il disperso nel 1976 presso i tipi di Lo specchio della Mondadori. Da allora il poeta ha pubblicato numerose raccolte poetiche: Le meraviglie dell’acqua (1980), Glenn (1983), Donna del gioco (1987), La luce del distacco (1990), Poesia della fonte (1993), L’ultimo viaggio di Glenn (1999), Per un secondo o un secolo (2005), Vite Pulviscolari (2009), Malaspina (2013) e l’ultima nel 2019 con il titolo di Sindrome del distacco e tregua. Cucchi ha inoltre scritto lavori teatrali (La luce del distacco 1990 e Jeanne d’Arc e il suo doppio 2008) e romanzi (Il male è nelle cose 2005, La Maschera Ritratto 2010). Ha infine anche praticato la prosa poetica (Il viaggiatore di città 2001, L’onore del clochard 2009) e quella documentaria (La traversata di Milano 2007 e L’indifferenza dell’assassino 2012), con esiti straordinariamente innovativi, pur restando fedele a una scrittura influenzata dal dettato poetico.
Una delle metodologie per analizzare la poesia di Cucchi è certamente la critica intertestuale, i cui fondamenti risalgono agli scritti di Bachtin, passando per l’approfondimento del ruolo della citazione di Eco, dell’ipertesto di Gérard Genette e della differenza tra interdiscorsività e intertestualità di Cesare Segre. Uno tra i critici cui Cucchi guarda con maggior interesse è Gian Biagio Conte, il quale scrive del «ricordo dotto»[1] e sottolinea come un autore gareggerebbe con il passato letterario attraverso citazioni che mostrano la volontà del poeta di inserirsi in una tradizione poetica. Conte esemplifica questo atteggiamento in tutti gli autori che si sono avvicinati al poema epico, cercando di gareggiare con i modelli precedenti. Ne sono una prova evidente gli incipit della letteratura latina e di quella italiana che contengono il verbo “cantare”, in ossequio e in competizione con il modello omerico. Questo tipo di atteggiamento viene ereditato da Cucchi, ma con sfumature del tutto nuove, quasi avesse la necessità di utilizzare i versi altrui per poter maggiormente liberare l’espressività dei propri. Ne sono convinti Alba Donati e Alberto Bertoni, che hanno curato, rispettivamente, la Postfazione e l’Introduzione degli Oscar Poesia del Novecento del poeta milanese del 2001 e del 2016. Secondo Donati, infatti, la poesia di Cucchi è abitata dalla figura paterna, ma anche «da una galleria di ritratti immemorabili, alcuni senza nome, altri frutto della rielaborazione di figure letterarie o storiche, verso le quali l’autore ha una vera e propria attrazione affettiva e fatale»[2]. Poche righe dopo, Donati fa un preciso riferimento a Genette, citato per mostrare come la poesia di Cucchi ponga il lettore di fronte a un libro «un po’ fuori e un po’ dentro il testo»[3]. La scelta di alter-ego, poeti o uomini di diverse categorie lavorative, permette alla poesia di Cucchi di evitare il pericolo dell’autobiografismo, rispondendo quindi all’esigenza di «una biografia per interposta persona»[4]. Questa urgenza porta il poeta a vestire le maschere degli autori che compongono la sua “biblioteca”, termine da intendersi secondo il pensiero di Borges e di Eco. Non a caso Bertoni aggiunge, nel capitolo Maître à penser, che la poesia di Cucchi è influenzata dalla spersonalizzazione dell’io poetico e della voce soggetto, elementi essenziali di tutta la cultura francese del dopo Esistenzialismo, citando autori come «Foucault e Deleuze, Genette e Barthes, Blanchot e Bataille»[5]. Sono autori che hanno partecipato attivamente al dibattito e allo sviluppo della critica intertestuale, ma sono anche i punti di riferimento di Cucchi. Si può supporre, quindi, che la poesia di Cucchi talvolta diventi uno splendido gioco di camuffamenti della propria potenza creativa attraverso le altrui parole, che dunque possono farsi carico del dolore del poeta, concedendogli una libertà espressiva che la prima persona non gli avrebbe mai concesso, soprattutto al cospetto della narrazione di una vicenda tanto drammatica quanto dolorosa.
Umberto Eco sosteneva che ogni scrittore propone un’intenzionale sfida al proprio lettore; così agisce anche Cucchi, che utilizza tre strumenti essenziali per compiere i suoi esprimenti intertestuali, conducendo con il lettore una vera e propria partita a scacchi. La prima forma di riferimento intertestuale è la nota esplicativa a fondo volume:
«La figura a cui mi riferisco (in “Indossa un camicione….”) illustra la voce idiotismo nel Dizionario di cognizioni utili (Vol. III, UTET, 1924). La didascalia dice soltanto «un cretino». [Genestas: personaggio di Le médecin de campagne di Balzac]. Nello stesso romanzo si parla dei cretini delle valli alpine, e della loro presenza come ultimi idoli per gli abitanti di quei luoghi.»[6]
Si parte quindi dalla definizione di cretino presente nel dizionario UTET per giungere a Balzac e al suo romanzo, indicando in modo preciso la fonte di riferimento del poeta milanese. La seconda tipologia di riferimento appare in una forma particolare, che definirei come “meta-citazione”:
«Pensò anche a un bellissimo passo di Armance, quando Stendhal dice che Octave, il protagonista, si risvegliava ogni mattina imparando ogni volta nuovamente la sua disgrazia, riassaporandola amaramente. Era quello che successe a Pietro: dopo l’oblio il ritorno alla verità, così spiacevole.»[7]
Si tratta di una modalità citazionale poco praticata nella sua poesia, mentre è assai diffusa per quel che concerne i romanzi. Nelle sue prose, le citazioni si perdono nel flusso di pensiero dei suoi personaggi che muove l’intreccio del libro, quindi non sono precisamente indicate in fondo al volume. Infine, il terzo stratagemma del poeta milanese è quello più nascosto, in quanto il poeta cela tra i versi delle sue composizioni i riferimenti agli autori precedenti: «Gli annunci dei treni alla stazione…/ Ma chiari. Li ascolti qui, di sera. Più bello, poi,/ se te li gusti a metà sonno. Magari alzarsi apposta…// (dubito che ci sia stato anche Mario. Ho l’impressione d’essere solo./ Accompagnato da lui? Portato la borsa per un po’ per uno? Bevu-/to una camomilla – tranquillante? Difficile allungare le gambe./ Ho salutato bene la portiera. Giù per le scale/ uno scarafaggione bello grosso./ Mangiarlo! Altro che dargli un colpo di valigia…)»[8]. È ben evidente che nella poesia In Treno, Cucchi faccia riferimento a La Metamorfosi di Franz Kafka, quando Gregor Samsa si sveglia trasformato in una blatta, la cui prima preoccupazione è quella di non perdere il treno e che comincia il suo lunghissimo isolamento, a causa della sua incapacità di scendere le scale.
Una delle opere cui Cucchi fa maggiormente riferimento è La Comédie humaine in cui Balzac schizza un mondo che interessa profondamente il poeta milanese. Ad esempio, la figura del Colonel Chabert è citata esplicitamente da Cucchi: reduce dalle battaglie napoleoniche in Russia, giunto a Parigi dopo aver superato ogni tipo di prova, trova la moglie risposata e termina la sua vita in un ospizio per alienati mentali, trovando definitivamente la serenità. Il colonnello della Grande Armée condivide la stessa vicenda personale del padre del poeta, Luigi Cucchi, protagonista assoluto della sua poesia con lo pseudonimo di Glenn, vista la somiglianza con l’attore americano Glenn Ford. Entrambi sono reduci da campagne di Russia (anche se di due secoli differenti) e vedono loro negati i più elementari diritti umani e civili. Entrambi sono in preda a una profonda malinconia: «enterré sous des vivants, sous des actes, sous des faits, sous la société toute entière, qui veut me faire rentrer sous terre !»[9] Anche Luigi viene descritto compiere azioni non prettamente logiche quando «A tavola/ faceva gesti strani, assorto./ Faceva i conti nell’aria./ Forse per questo il giornale ha parlato/ di cagionevole salute./ Ho pensato al disordine, alle multe,/ alle marmitte Innocenti/ a un anno dal miracolo»[10]. La campagna di Russia della Seconda Guerra Mondiale ha profondamente influito sulla sua psiche, per questo il riferimento preciso all’opera di Balzac non stenta ad imporsi. Tale riferimento diventa lui stesso una vera e propria poesia che compone la raccolta: – À qui ai-je l’honneur de parler ?/ – Au colonel Chabert./ – Lequel ?/ – Celui qui est mort à Eylau[11].
La guerra presenta il conto sia a Chabert che a Luigi, ma non solo, fa sentire la sua presenza anche nell’altro romanzo con cui Cucchi si confronta, cioè Le médecin de campagne. Ambientato in un piccolo villaggio delle valli alpine del Delfinato, il romanzo comincia con l’arrivo di Genastas, oscuro capitano dell’armata napoleonica. L’esperienza della guerra è alla base della narrazione e degli incontri con Gondrin, con Goguelat e con Butifer, tutti reduci della campagna di Russia. Tuttavia, in questa circostanza, il tema che interessa maggiormente Cucchi è quello del cretinismo. Il cretinismo è una malattia che si sviluppa nelle valli e negli alpeggi a causa di continui matrimoni consanguinei, pratica che l’altro protagonista del romanzo, il dottor Benassis, cerca di estirpare completamente e che Balzac accusa profondamente. Tuttavia, Benassis ha difficoltà ad esiliare dal villaggio queste figure perché sono molto amate dalla popolazione, tanto che lo stesso dottore rischia di essere linciato, quando tenta di allontanare dalla propria abitazione uno di questi “cretini”. Il termine è voluto e non ha alcuna coloritura offensiva, è lo stesso Balzac a proporlo quando descrive questo fenomeno così diffuso nelle valli alpine:
«Là où se trouvent les crétins, la population croit que la présence d’un être de cette espèce porte bonheur à la famille. Cette croyance sert à rendre douce une vie qui, dans le sein des villes, serait condamnée aux rigueurs d’une fausse philanthropie et à la discipline d’un hospice. Dans la vallée supérieure de l’Isère, où ils abondent, les crétins vivent en plein air avec les troupeaux qu’ils sont dressés à garder. Au moins sont-ils libres et respectés comme doit l’être le malheur.»[12]
Il poeta milanese è innamorato di questa figura senza pretese, di una semplicità disarmante, che non possiede gli strumenti dell’astuzia e della cattiveria degli altri normo-dotati. Il tema del cretino percorre tutta la sua produzione, sovrapponendosi a poeti, ad avventurieri, a cantanti, a personaggi della letteratura, a sportivi ormai completamente dimenticati e a se stesso, quando veste i panni di «Icio», la figura che identifica il poeta bambino. «Icio» rimanda alla storpiatura del nome Maurizio, causata da una dentizione deforme e tribolata, proprio come quella degli imbecilli della Val d’Anjou. Ciò è tanto vero che Cucchi trascrive la definizione proposta da Balzac in un componimento davvero significativo per la ripresa intertestuale che il poeta compie:
Il capitano Genestas
incontra il vecchio cretino morente:
è il loro ultimo idolo.
Ma dove questi esseri vivono
la gente crede che portino fortuna alla famiglia.
In certe valli dove abbondano
vivono all’aria aperta con le greggi.[13]
[1] G.B. Conte, Memoria dei poeti e sistema letterario, Palermo, Sellerio Editore, 2012, p. 31.
[2] M. Cucchi, Poesie 1965-2000, Milano, Mondadori, 2001, p. 267.
[3] Ibidem.
[4] M. Cucchi, Introduzione a Id., Poesie 1963 – 2015, Milano, Mondadori, 2016, p. 25.
[5] Ivi, p. 18.
[6] Ivi, p. 370
[7] M. Cucchi, Il male è nelle cose, Milano, Mondadori, 2005, p. 103.
[8] Cucchi, Poesie 1963-2015 cit., p. 47.
[9] H. de Balzac, La Comédie humaine III, Le Colonel Chabert, Paris, Gallimard Pléiade, 1976, p. 328.
[10] Cucchi, Poesie 1963-2015 cit., p. 205.
[11] Balzac, Le Colonel Chabert cit., p. 224 e Cucchi, Poesie 1963-2015 cit., p. 202.
[12] H. de Balzac, La Comédie humaine IX, Le médecin de campagne, Paris, Gallimard Pléiade, 1991, pp. 402-403.
[13] Cucchi, Poesie 1963 – 2015 cit., p. 187.