Tra le tante domande che nascono dal libro di Serge Latouche, Cornélius Castoriadis et l’autonomie radicale, pubblicato in una nuova edizione da Le passager Clandestin nel 2020 dopo una prima uscita nel 2014, un rilievo interessante assume il confronto col concetto di ‘utopia’ nel primissimo momento di formazione del pensiero dell’autore di origine greca. Momento decisivo e che, tra l’altro, è densamente descritto nella biografia Castoriadis. Une vie di François Dosse (La Découverte, 2014). Cornelius Castoriadis (1922-1997), fecondo saggista, esule in Francia dalla natia Grecia, attivista della mouvance trockijsta, polemista mai domo, alter ego di Claude Lefort, è autentico magma incandescente di spunti. Per questo è indispensabile circoscrivere l’intervento limitandosi a una riflessione sulla fase in cui l’autore è protagonista dell’esperienza di «Socialisme ou barbarie» (1947-1965).
Paul Chaulieu, Paul Cardan, Marc Noiraud: con tali pseudonimi, da funzionario OCSE, Castoriadis affronta la militanza politica e l’impegno editoriale in «Socialisme ou barbarie». Le pubblicazioni iniziano nel 1949 con lo scopo di «gettare le fondamenta di una futura organizzazione rivoluzionaria proletaria»: impresa che produrrà sia costanti frizioni con le sinistre che un patrimonio di quaranta uscite dense di analisi critiche verso il «capitalismo burocratico» e incroci con bordighisti italiani o futuri sociologi militanti come Daniel Mothé e Michel Crozier. La redazione soffre alcune scissioni (Pouvoir Ouvrier e Informations et liaisons ouvrières nel solo 1958) e conclude il lavoro nel 1965, sciogliendosi nel 1967. Il bisogno di evitare ogni rigidità dogmatica e ricostruire i contenuti del progetto socialista senza cadere in un «utopisme pré-marxiste» è un dato persistente di tali uscite, che prendono di mira quello stretto determinismo economico che soffoca l’indispensabile autonomia delle masse. Praxis, «faire humain»: ecco il cuore dell’autonomia contro la barbarie. È l’attitudine della filosofia a una costante interrogazione della totalità del pensabile, senza, in potenza, produrre legittimazioni imperative e materiali.
Castoriadis non si sofferma direttamente sul concetto di utopia: pur conoscendone la storia intellettuale e letteraria, evita con voluta cautela di associarsi al genere. Scrivendo come Paul Chaulieu dell’autogestione jugoslava, presentata da Milentije Popovic (1913-1971) nel suo Des rapports économiques entre États socialistes (1949) come concreto progetto di società contro il dirigismo sovietico, sottolinea:
L’unité de l’économie mondiale est une réalité trop puissante. Les relations économiques entre le fameux «Etat socialiste indépendant» et le monde sont une question de vie ou de mort. C’est alors que Popovic nous présente sa théorie des «rapports socialistes» ou «égalitaires» entre les Pays socialistes indépendants. Ces rapports doivent être basés sur l’«égalité». Mais quelle égalité? Cette égalité ou bien ne signifie rien du tout, ou bien est une plate et réactionnaire utopie proudhonienne. De même que les petits patrons écrasés par la concurrence capitaliste regardent avec nostalgie en arrière, vers les temps de la simple production marchande, et demandent le rétablissement virginal de l’«égalité» et de la loi de la valeur telle qu’elle était avant la «déformation» que lui a imposée le capitalisme, la concentration, le monopole, etc de même la bureaucratie exploiteuse d’un Pays secondaire proteste contre la plus forte en réclamant l’«égalité»[1].
L’utopia «réactionnaire», in riferimento a Proudhon, riecheggia la critica all’intellettuale di Besançon in Misère de la Philosophie (1847) e in Manifest (1848), quando Marx ed Engels inseriscono il suo pensiero nella frangia conservatrice e borghese dei falsi socialismi: Castoriadis associa la prospettiva jugoslava a un approccio riduttivo, umanista, volto ad alleviare contraddizioni materiali ma incapace di intaccare la sostanza dei rapporti di potere capitalistici attraverso il doveroso stile dialettico. La penna di Castoriadis si spinge contro le determinazioni storiche figlie del marxismo sovietico: riflettendo sul contenuto di senso di un programma socialista, nel 1952 usa nuovamente l’archetipo del socialismo utopistico per problematizzare un approccio disancorato dai rapporti di forza e il burocratismo staliniano, cui opporre una robusta lotta rivoluzionaria. Il problema dell’utopia in rapporto al socialismo non è tanto il possibile scivolamento verso l’impostura filantropica borghese, quanto la proposta di uno schema di lettura rigido, astratto, che, pur godendo della capacità immaginativa di costruire una società altra, non interpreta correttamente i rapporti di forza:
La lutte du marxisme contre le socialisme utopique a découlé de deux facteurs: d’un côté, la caractéristique essentielle de l’«utopisme» était non pas la description de la société future mais la tentative de fonder cette société dans ses moindres détails d’après un modèle logique, sans examiner les forces sociales concrètes qui tendent vers une organisation supérieure de la société. Ceci était effectivement impossible avant l’analyse de la société moderne que Marx a commencée. [..] D’un autre côté, le socialisme utopique se préoccupait uniquement de plans idéaux pour la réorganisation de la société à une époque où ces plans, bons ou mauvais, avaient de toute façon très peu d’importance pour le développement réel du mouvement ouvrier concret, et se désintéressent totalement de ce dernier. Contre cette attitude et ses survivances, Marx avait raison de déclarer qu’un pas pratique valait mieux qu’une centaine de programmes. Mais aujourd’hui, la majeure partie de la lutte révolutionnaire concrète est en fait la lutte contre la mystification stalinienne ou réformiste, présentant des variantes plus ou moins nouvelles de l’exploitation comme du «socialisme». Cette lutte n’est possible qu’au prix d’une nouvelle élaboration du programme. [..] Il n’y a pas d’élaboration programmatique valable qui ne tienne pas compte du développement réel et surtout du développement de la conscience du prolétariat[2].
Castoriadis parlerà di ‘utopia’ riferendosi alla letteratura fantascientifica, che prefigura l’evolversi dei conflitti sociali e le futuribili forme di automazione[3]; in altri momenti[4] tornerà la critica all’astrattismo idealista, funzionale (Thomas More e Denis Veiras) a immaginare la riduzione delle ore lavorative ma inutile per il rivolgimento del modo di produzione. ‘Utopia’ è chiave di analisi[5] per le rivolte del 1955 in Francia e del 1956 in Ungheria, lette come liete esplosioni del bisogno di democratizzare la vita collettiva con l’autonoma organizzazione della società. Il profilo della contestazione radicale del capitalismo burocratico, attraverso una rielaborazione di Weber svolta sin da metà anni Quaranta, si può cogliere nel timore di Castoriadis di assistere ad una evoluzione dei sistemi sociali e politici dell’Europa occidentale, anche con vertici politico-istituzionali a guida socialdemocratica, simile a quelli dell’Est: le nazionalizzazioni e le pianificazioni economiche, a suo avviso, erano il compromesso che le oligarchie proponevano alle forze del movimento operaio per integrarle in un modello organizzativo della società e dello Stato pervasivo e burocratico. Il riformismo operaio finirebbe, così, per illudere e frustrare le ambizioni rivoluzionarie delle masse:
Le réformisme n’est pas utopique, connue l’ont cru autrefois les marxistes, parce que des lois économiques empêcheraient qu’on altère la distribution du produit social (ce qui est faux); il est utopique parce qu’il est toujours et par définition bureaucratique. Les modifications limitées qu’il veut introduire non seulement ne touchent jamais au rapport capitaliste fondamental, mais doivent être administrées par des groupes à part et des institutions ad hoc, qui automatiquement se séparent des masses et s’opposent à elles. C’est le capitalisme moderne lui-même qui est réformiste; tout réformisme «ouvrier» ne peut être que le collaborateur du capitalisme dans la réalisation de ses tendances les plus profondes[6].
Nella lotta al capitalismo burocratico e nel bisogno di definire un progetto rivoluzionario non ‘utopistico’, Castoriadis elabora così il concetto di immaginario, che Nicolas Poirier ritiene già presente in forma implicita nell’autore, sempre più vicino a Lacan e alla psicanalisi, fino alla sistematizzazione in L’institution imaginaire de la société (1975). Fuggire l’utopia, quindi, per discernere il socialismo dalla barbarie.
Perché tale netto smarcamento? Per abbozzare una risposta, raccogliamo un estratto dell’intervista resa dall’autore, nel dicembre 1992, a Jocelyn Wolff e Benjamin Quenelle per Propos. Wolff e Quenelle, in modo significativo, intitoleranno l’intervista «Le projet d’autonomie n’est pas une utopie». Soffermandosi sui caratteri intellettuali e sui contenuti della parola-guida del suo impegno – autonomia – al momento del crollo dell’URSS e della fine di quella specifica determinazione storica del socialismo, l’autore è esortato a rispondere sulle ragioni per cui pare non affascinato dal lemma:
L’utopie est quelque chose qui n’a pas et ne peut pas avoir lieu. Ce que j’appelle le projet révolutionnaire, le projet d’autonomie individuelle et collective (les deux étant indissociables), n’est pas une utopie mais un projet social-historique qui peut être réalisé, dont rien ne montre qu’il soit impossible. Sa réalisation ne dépend que de l’activité lucide des individus et des peuples, de leur compréhension, de leur volonté, de leur imagination. Le terme d’utopie est redevenu à la mode ces derniers temps, un peu sous l’influence d’Ernst Bloch, marxiste qui s’était tant bien que mal accommodé du régime de la RDA et qui n’a jamais fait la critique du stalinisme et des régimes bureaucratiques totalitaires: il trouvait là une sorte de couverture, un mot lui permettant de se différencier du «socialisme réellement existant». Le terme a été repris plus récemment par Habermas parce que, après la faillite totale du marxisme et du marxisme-léninisme, il semble légitimer une vague critique du régime actuel par l’évocation d’une transformation socialiste utopique, avec un parfum «prémarxiste». En fait c’est tout le contraire, personne ne pouvant comprendre (sauf s’il est philosophe néo kantien) comment on peut critiquer ce qui est à partir de ce qui ne peut pas être. Le terme d’utopie est mystificateur.
La «mode» di una utopia tornata agli onori delle cronache è riferimento ad Habermas, intervistato da Michael Haller in Vergangenheit als Zukunft. Das alte Deutschland im neuen Europa? (1991), tradotto in italiano col titolo Dopo l’Utopia. Il pensiero critico e il mondo di oggi. Habermas usava il concetto di ‘utopia’ affrontando la pretesa ‘revisionista’ di un gruppo di storici tedeschi – aventi come capostipite Ernst Nolte e all’origine del noto Historikerstreit (1986-1987) – che finivano per giustificare il nazionalsocialismo come reazione al violento autoritarismo bolscevico: il rischio di una ‘falsa coscienza’ nella memoria del passato della Germania, riunificata con un processo più amministrativo e finanziario che democratico, per Habermas, avrebbe costituito un nodo inevitabile per gli intellettuali e per i decisori della nazione riunita.
Castoriadis contesta, piuttosto, l’insufficiente critica del quadro politico-istituzionale scaturito dalla fine della guerra fredda e una potenziale riduzione del progetto rivoluzionario ad ‘utopia’. Usando tale concetto l’autore polemizza con una dinamica percepita come impostura, svuotamento del «projet d’autonomie individuelle et collective» con cui re-istituire la società, preda delle «oligarchies libérales». Mentre i ceti dirigenti inducono una «semi-adhésion molle de la population [..] pénétrée par l’imaginaire capitaliste», il senso della vita pare ridursi all’espansione illimitata di produzione e consumo (privato), all’abbandono della partecipazione come attitudine degli individui alla res publica, ta koinà, «affaires communes»: «domination d’une oligarchie et passivité et privatisation du peuple ne sont que les deux faces de la même médaille». Una concezione negativa dell’utopia, in buona sostanza, riscontrabile già in «Socialisme ou barbarie».
Ettore Bucci
(Scuola Normale Superiore, Pisa)
[1] P.Chaulieu, G.Dupont, La bureaucratie yougoslave, in «Socialisme ou Barbarie», I (1950), n. 5-6, p.58.
[2] P.Chaulieu, Sur le programme socialiste, in «Socialisme ou Barbarie», III (1952), n. 10, p.2.
[3] P.Chaulieu, Les grèves de l’automation en Angleterre, in «Socialisme ou Barbarie», VII (1956), n. 19, p.102.
[4] S.Chatel, Les livres: histoire du Premier Mai, in «Socialisme ou Barbarie», IX (1958), n. 24, p.150.
[5] Les étudiants de «Socialisme ou Barbarie». «Tracts», in «Socialisme ou Barbarie», IX (1958), n. 25, p.51.
[6] P. Cardan, Le mouvement révolutionnaire sous le capitalisme moderne, in «Socialisme ou Barbarie», XII (1961), n. 33, p.66.