La seduzione di perdersi altrove, il brivido di abiurare alla propria cultura, fino a far vacillare l’identità occidentale proprio mentre l’Europa trasforma il mondo «a sua immagine e somiglianza»: è il filo che Stefano Brugnolo intelligentemente dipana nelle
trame di una letteratura che si appunta su una varietà di «figure e soggetti alla deriva».
Ne proponiamo un assaggio, tra i più intriganti: il discusso Soumission di Michel Houellebecq (pp. 217-222).
Stefano Brugnolo
La tentazione dell’altro (Carocci 2017)
Il romanzo di Michel Houellebecq Soumission (2014) si svolge in un futuro prossimo venturo e ci racconta un caso immaginario ed estremo di reverse colonization: l’instaurazione per via democratica di un regime (moderatamente) islamico in Francia. Il protagonista, François, è un intellettuale laico e più che mai disincantato che però alla fine si convertirà, «sottomettendosi» al nuovo ordine delle cose. Molti hanno creduto che Houellebecq sia l’ennesimo scrittore reazionario che alla maniera di Spengler denuncia le insidie di un Oriente che minaccia l’Occidente, ma in realtà il dramma che ci propone è tutto e solo europeo. È infatti quello di uno studioso che, disturbato dagli esiti di una cattiva Modernità, si fa tentare dal Passato, e cioè da un impossibile ritorno al mondo pre-moderno, e dunque in primis alla Religione. Baudelaire è forse il caso più emblematico di questa tendenza «reazionaria», ma anche Huysmans, di cui non a caso si occupa quasi esclusivamente il protagonista, ne è un importante rappresentante. La provocazione e l’originalità di Houellebecq sta nell’aver immaginato che l’unica tradizione a cui gli europei possono «ritornare» sia quella islamica. Le ragioni di ciò le espone Robert Redeger, anche lui un convertito diventato rettore della Sorbona e consigliere politico di Mohammed Ben Abbes, nuovo Presidente della Repubblica: «l’Europe occidentale n’était plus en état de se sauver elle-même» (Houellebecq, 2015, p. 276) perché «elle avait dû composer avec le rationalisme» (ibid.), e cioè con l’illuminismo e le sue conseguenze. Ne deriva, sempre per Redeger, che «L’arrivée massive de populations immigrées empreintes d’une culture traditionelle […] constituait une chance historique pour le réarmement morale et familial de l’Europe» (ibid.). Essi ci danno l’esempio di cosa possa significare «credere» e noi possiamo e dobbiamo imitarli. Troviamo dunque anche qui, sia pure stravolto, un motivo in cui ci siamo già imbattuti, quello di una speranza di salvezza che viene dagli Altri, dai Barbari, dall’Oriente.
Ma da cosa l’Europa, l’Occidente dovrebbero essere salvati? In buona sostanza dalla libertà o, se si preferisce, dall’individualismo. In questo Houellebecq ha come suoi maestri Dostoevskij e Tocqueville, i quali molto per tempo avevano detto che la libertà è un «dono» insopportabile di cui gli individui delle società di massa non sanno che farsi e di cui vorrebbero disfarsi. È proprio da questa libertà, una libertà che rende confusi e infelici, che dovrebbero e vorrebbero essere salvati gli occidentali, secondo lo scrittore. Potrebbe sembrare che Houellebecq voglia denunciare come regressivo questo bisogno di sottomissione, ma la sua posizione è provocatoriamente ambigua, come dimostra quel che dice il suo protagonista allorché sta per scegliere di convertirsi in cambio di alcuni vantaggi pratici: «En régime islamique les femmes […] perdaient l’autonomie. Mais fuck autonomy, j’étais bien obligé pour ma part di convenir que j’avais renoncé avec facilité, et même avec un vrai soulagement, à toute résponsabilité d’ordre professionnel ou intellectuel» (ivi, pp. 226-7).
Per Houellebecq, infatti, se è vero che il discorso mediatico standard celebra la libertà, in realtà sotto traccia cresce sempre di più un bisogno di sottomissione (a una Legge, a un Ordine) che si rivela essere un gigantesco ritorno del represso rispetto a quelle istanze di indipendenza e di autodeterminazione che furono avanzate dall’Illuminismo e che per l’autore hanno il difetto di idealizzare la natura umana. Su di essa lui, come Baudelaire e Céline, non si fa alcuna illusione: «ils se faisaient une haute idée de la liberté humaine, de la dignité humaine» (ivi, p. 250). È soprattutto nel campo della sessualità e delle relazioni amorose che le nuove presunte libertà individuali hanno provocato danni forse irreversibili. L’Extension du domain de la lutte (titolo del primo romanzo di Houellebecq, 1994) sociale ed economica al campo erotico avrebbe infatti scatenato per lo scrittore una spietata competizione per il primato tra maschi e maschi, tra donne e donne, tra maschi e donne. Essa ha reso tutti più infelici e in definitiva meno capaci di amore, meno disposti a un qualunque sacrificio di sé. È insomma soprattutto in questo campo che gli uomini hanno rivelato di non essere all’altezza delle inaudite opportunità di desiderio e scelta che sono state loro «donate». La conversione di massa dell’Occidente a un Islam tradizionalista per Houellebecq avverrebbe anche e proprio sulla base di un fastidio e di una insofferenza crescente per queste possibilità che pure a parole vengono magnificate. Il pregio dell’Islam consiste proprio nella sua politica sessuale e familiare, nella sua tendenza a nascondere i corpi, a separare i generi, a limitare opzioni di scelta. Polemicamente lo scrittore si diverte a demistificare una certa retorica libertaria ma anche consumistica del desiderio, che in definitiva per lui non è mai desiderio dell’altro, bensì di autoaffermazione. E in fondo non ci sarebbe poi niente di naturale e prorompente in questo desiderio, come pretendono i suoi teorici: «Soumettez l’homme à des impulsions érotiques (extrêmement standardisées d’ailleurs, les décolletés et les mini-jupes ça marche toujours, tetas y culo disent de manière parlante les Espagnols), il éprouvera des désirs sexuels; supprimez lesdites impulsions, il cessera d’éprouver ces désirs et en l’éspace de quelques mois, parfois de quelques semaines» (ivi, p. 280).
Si direbbe anzi che per lo scrittore quel desiderio, in fondo sempre più disperatamente privo di oggetto, aspira proprio a una sottomissione che lo plachi. Non è insomma l’Islam che assoggetta l’Occidente, ma l’Occidente che ha nostalgia di Islam (parola che alla lettera significa proprio «sottomissione» a Dio). Va da sé che si tratta anche di una provocazione beffarda diretta contro i facili propugnatori dei valori democratici e libertari, ma occorre sentire che davveroHouellebecq riconosce alcune ragioni fondamentali a quello che, riferendosi a Huysmans, viene definito un «désir désésperé de s’incorporer à un rite» (ivi, p. 169), e cioè un disperato bisogno di appartenenza, di comunità, di autorità. Anche se certe tirate dello scrittore possono disturbarci, dobbiamo riconoscere che qualunque concezione illuminista consapevole dovrà fare i conti con queste potentissimo e umanissimo bisogno di appartenenza e assoggettamento a cui Houellebecq dà voce in modo tanto impertinente.
Per poterci confrontare con questa verità nera dell’Occidente democratico e progressista, e non scartarla come puramente regressiva, occorre ancora una volta porsi la solita domanda: di cosa sta parlando Houellebecq quando ci parla della tentazione di «farsi islamici»? Ribadiamolo: non sta certo parlando di un pericolo che viene da fuori, bensì di una tentazione dello stesso Occidente, che dopo uno spericolato e plurisecolare esperimento di fuoriuscita dalla Religione aspirerebbe a rientrare in essa. Precisando però che qui per «religione» intendiamo quella istanza capace di connettere le tante monadi («particelle elementari») prive di riferimento che sono oggi gli individui delle società post-metafisiche. Ecco infatti come si esprime ancora Sadger, riedizione del Grande Inquisitore dostoevskiano, qui in veste islamica invece che cattolica: «seule une réligion […] pouvait créer, entre les individus, une relation totale. […] La seule solution est de passer par un plan supérieur, contenant un point unique appelé Dieu, auquel seraient reliés l’ensemble des individus; et reliés entre eux, par cet intermédiaire» (ivi, p. 274). Ancora una volta, dunque, l’Altro fuori di noi (il presunto, temuto Islam) corrisponde a un più fondamentale Altro dentro di noi, e cioè a un bisogno (un ulteriore paradosso) di identità, di stabilità, di normatività, come riconosce lo stesso Sadger: «Traditionalistes et identitaires. […] ils étaient, sur l’essentiel, en parfait accord avec les musulmans. Sur le rejet de l’atheisme et de l’humanisme, sur la nécessaire soumission de la femme, sur le retour au patriarcat» (ivi, p. 275). A dire insomma che, secondo Houellebecq, islamisti e anti-islamisti, tradizionalisti filo-occidentali e tradizionalisti filo-orientali in fondo vogliono la stessa cosa: non sentirsi più soli ma parti di un grande tutto coeso.
La scena finale del romanzo ci mostra come il protagonista (che non a caso si chiama François, a marcare la sua francesità) si spogli e anzi si purifichi della sua vecchia identità per rivestire i nuovi panni islamici. È una scena di conversione dell’Altro a cui abbiamo già assistito tante volte, ma qui ci viene presentata in chiave più che mai ironica e amara:
La cérémonie de la conversion, en elle-même, serait très simple; elle se déroulerait probablement à la grande mosquée de Paris […] puis, dans une salle plus petite, ornée elle aussi de mosaïques raffinées, baignée d’un éclairage bleuté, je laisserais l’eau tiède couler longuement, très longuement, sur mon corps, jusqu’à ce que mon corps soit purifié. Je me rehabillerais ensuite, j’aurais prévu des vêtements neufs; puis j’entrerais dans la grande salle, dédiée au culte. […] Puis, d’une voix calme, je prononcerais la formule suivante, que j’aurais phonétiquement apprise: «Ach-Hadou ane lâ ilâha illa lahou wa ach-hadou anna Mouhamadane rassouloullahi». Ce qui signifiait, exactement: «Je témoigne qu’il n’y a d’autre divinité que Dieu, et que Mahomet est l’envoyé de Dieu.» Et puis ce serait fini; je serais, dorénavant, un musulman. […] une nouvelle chance s’offrirait à moi; et ce serait la chance d’une deuxième vie, sans grand rapport avec la précédente. Je n’aurais rien à regretter (ivi, pp. 297-300).
È evidente che questo happy ending non può non risuonare ambiguo e disturbante, e che qualcosa «da rimpiangere» c’è, anche se non si sa bene di che si tratti. È anche per questo che il romanzo non è piaciuto a molti critici: non può piacere a quanti contestano come regressiva la rinuncia apparentemente soddisfatta alla propria libertà del protagonista, così come non può piacere a coloro che contestano che la conversione all’Islam venga presentata come un asservimento (per questi ultimi Houellebecq pecca di orientalismo). In realtà anche questa scena finale, come tutto il romanzo, va compresa in termini di ambivalenza. Nel mentre Houellebecq ci suggerisce che davvero è forte in tutti noi la tentazione di abiurare la libertà e di rientrare in un qualche ordine prestabilito, in una qualche «relazione totale», in realtà ci mostra anche che cedere a quella tentazione corrisponde a una catastrofe, a una resa mentale senza ritorno: «Que ma vie intellectuelle soit terminée, c’était de plus en plus une évidence» (ivi, p. 295). Dunque, nel momento in cui ci suggerisce che la rinuncia al valore assoluto dell’autonomia è forse l’unica soluzione possibile (e in fondo non importa se avvenga sotto il segno dell’Islam o di altre tradizioni), ci lascia intendere anche che essa non è la soluzione buona, vera. O, altrimenti detto: nel mentre rivaluta la causa della sottomissione, la svaluta anche irreparabilmente. Non a caso, infatti, una delle ragioni della conversione di François è meschinamente quella di poter praticare una comoda poligamia: «à combien de femmes vais-je avoir droit?» (ivi, p. 292). Se dunque Houellebecq ci mette davanti alle parti di noi che non sono all’altezza delle nuove libertà che ci siamo dati e aspirano a un qualche ritorno all’ordine, contemporaneamente egli dà conto di come e quanto qualunque ritorno all’ordine implichi la lesione di altre possibilità umane, forse ormai irrealizzabili e comunque da lui mai specificate, ma non per questo meno irrinunciabili. Va da sé che questa questione trascende l’opposizione di superficie tra Occidente e Oriente o tra Islam e Cristianesimo, e riguarda tutti.