Pubblicato nel dicembre del 1788, nonostante la reticenza del padre Jacques Necker e l’aperta ostilità della madre Suzanne Curchod, entrambi contrari all’avvio di una carriera nel mondo letterario da parte di Madame de Staël, Lettres sur les écrits et le caractère de J.-J. Rousseau costituisce al contempo il debutto e il primo successo editoriale della scrittrice, considerando le ristampe, anche clandestine, che si susseguono nel corso del 1789 e la traduzione del testo in lingua inglese pubblicata nello stesso anno. Sono essenzialmente due le ragioni di tale successo. La prima ha a che fare con la scelta dell’argomento: in quel particolare momento storico, parlare di Rousseau significa già accostarsi a un autore cult, destinato a divenire il vate della Rivoluzione, le cui spoglie mortali di lì a poco (11 ottobre 1794) verranno trasferite al Pantheon, con tutti gli onori del caso. La seconda ragione è la curiosità suscitata dall’autrice, di cui si viene immediatamente a sapere l’identità, benché l’opera venga pubblicata anonima. Nel 1788 Madame de Staël ha ventidue anni, un marito ambasciatore, un padre ministro appena richiamato da Luigi XVI per salvare la Francia dalla bancarotta e alle spalle lunghi anni di letture frenetiche e di intense conversazioni nel salotto della madre, frequentato soprattutto dai philosophes.
Anche se, alla vigilia dello scoppio della Rivoluzione, occuparsi di Rousseau è certamente «un modo per prendere posizione nel campo letterario» (F. Lotterie, Introduction, in: G. de Staël, Œuvres complètes, série I, tome 1, Paris, Honoré Champion, pp. 19-33: 20), non c’è dubbio che per un’esordiente, quale è Staël in quel momento, possa essere quantomeno azzardato misurarsi con un tale “monumento”. A questa scelta della scrittrice, però, contribuisce in primo luogo una certa affinità caratteriale e di sensibilità con il Ginevrino. Del resto, una spiccata sensibilità, un’innata tendenza alla malinconia – oltre ad atteggiamenti reputati non sempre adeguati al ruolo che secondo il sentire dell’epoca una donna, per di più figlia di un personaggio pubblico come Necker, dovrebbe tenere in società – fanno sì che Staël, proprio come Rousseau, si senta non di rado estranea al mondo in cui vive. E a questo senso di solitudine contribuisce certamente anche il matrimonio, tutt’altro che felice, con Erik Magnus Staël von Holstein, ambasciatore svedese a Parigi di diciassette anni più anziano di lei. La scrittrice sembra pensare anche alla propria situazione sentimentale, quando nell’ultima delle sei Lettres che compongono l’opera – quella dedicata a «le caractère de Rousseau» e redatta alla luce della lettura de Les confessions – si chiede retoricamente perché mentre era in vita il Ginevrino non avesse «incontrato un’anima tenera che concentrasse tutti i propri sforzi a rassicurarlo, a risollevare il suo animo abbattuto, che lo amasse profondamente» (G. de Staël, Lettres sur les écrits et le caractère de J.-J. Rousseau, in: Ead., Œuvres complètes, série I, tome 1, cit., 2008, p. 103. Traduzioni mie).
In secondo luogo, Rousseau è per Staël un autore davvero di famiglia, in quanto da sempre oggetto delle conversazioni del salotto materno; su di lui ha la possibilità di raccogliere notizie intime e di prima mano da persone che lo hanno frequentato. Il ritratto che ne delinea nelle Lettres tenta, non a caso, di tenere insieme l’opera e il personaggio e a partire dall’analisi degli scritti, condotta nelle prime lettere, giunge nell’ultima a prendere in esame gli aspetti biografici e caratteriali. Se da una parte l’opera risulta in un certo senso pionieristica inaugurando un metodo d’analisi «fondato su un equilibrio dialettico tra l’adesione solidale e il distacco critico» (Lotterie, 2008, p. 24), dall’altra non influisce più di tanto sulla reputazione del Ginevrino, già ampiamente letto e apprezzato nel mondo intellettuale francese pre-rivoluzionario (cfr. R. Barny, Prélude idéologique à la Révolution Française. Le rousseauisme avant 1789, Paris, Les Belles Lettres, 1985). Prima dell’Ottantanove Rousseau è soprattutto l’autore dell’Émile e de La nouvelle Héloïse, non a caso le due opere a cui anche Staël riserva maggiore attenzione. Nel sottolineare la sincerità e la spontaneità che caratterizzano tutta la riflessione di Rousseau, la figlia di Necker giustifica anche alcune scelte controverse da lui compiute durante la propria esistenza – quali l’atteggiamento di ostilità verso i philosophes e l’abbandono dei figli – con l’idea che egli fosse mosso da una passione e uno spirito divino (cfr. C. Takeda, Apology of Liberty in Lettres sur les ouvrages et le caractère de J.-J. Rousseau: Mme de Staël’s Contribution to the Discourse on Natural Sociability, “European Review of History”, 13, 2007, pp. 165-193). Non c’è alcun dubbio che la scrittrice empatizzi su più fronti con Rousseau – quelli riconducibili appunto alla sua sensibilità, al modo spontaneo e genuino di affrontare la vita, ma anche al talento letterario e alla forza espressiva che emergono soprattutto dagli scritti maggiormente letterari – e che per molti versi possa essere considerata una «discepola» del Ginevrino (F. Lotterie, 2003, Une revanche de la «femme-auteur»? Madame de Staël disciple de Rousseau, “Romantisme”, 122, pp. 19-31), ma non manca di prenderne le distanze sul piano delle idee politico-sociali. Le Lettres, quindi, se da una parte denunciano uno sfasamento tra la simpatia per Rousseau sul piano umano e il biasimo nei confronti di talune sue idee, dall’altra appaiono rilevanti non tanto sul piano della critica rousseauiana, quanto su quello della riflessione politica di Staël; lo scritto anticipa infatti una serie di tematiche e di prese di posizione che rimarranno costanti nelle sue successive opere politiche, quasi che la figlia di Necker aspiri inconsciamente a confermare con il proprio percorso intellettuale una tendenza che lei stessa riconosce tanto in Rousseau quanto in Montesquieu: quella secondo cui «molti scrittori celebri hanno messo allo stesso modo nella loro prima opera il germe di tutte le altre», così che nell’Héloïse «si scopre l’autore che scriverà l’Émile e Le Contrat social, come le Lettres persanesannunciano l’Esprit des Lois» (Staël, 2008, p. 62).
Il primo aspetto da sottolineare è anzitutto il valore pratico delle Lettres sur Rousseau, concepite, come tutte le opere del periodo rivoluzionario, anche per prendere posizione sul piano politico. Certo, quasi tutti gli scritti successivi, dalle Réflexions sur le procès de la reine (1793) alle Réflexions sur la paix adressées à M. Pitt et aux Français (1794), dalle Réflexions sur la paix intérieure (1795) al Des circonstances actuelles qui peuvent terminer la Révolution et des principes qui doivent fonder la République en France (1798), si presenteranno fin dal titolo come opere di circostanza, nasceranno in primo luogo dalla necessità di schierarsi all’interno dei dibattiti coevi, di creare consenso intorno a un certo progetto politico, di influire sugli eventi, ma non rinunceranno ad affrontare anche sul piano teorico alcune delle questioni politiche più importanti. Ma questa tendenza a tenere insieme dimensione congiunturale e dimensione teorica, «tipica delle opere politiche di Staël» e vera e propria «questione di metodo» nella sua riflessione (B. Fontana, Germaine de Staël: A Political Portrait, Princeton-Oxford, Princeton University Press, 2016, pp. 160-162), riguarderà anche un’opera come De l’influence des passions (1796) che, pur nascendo con intenti principalmente teorici, segnerà sul piano pratico un’ulteriore presa di posizione anti-giacobina e una denuncia degli effetti perversi del fanatismo politico, principale causa del Terrore. Anche le Lettres sur Rousseau, quindi, pur essendo un’opera ascrivibile alla critica letteraria, perseguono obiettivi politico-pratici: il che per Madame de Staël significa alla vigilia della Rivoluzione, ma anche durante la successiva fase dell’Assemblea costituente e della Legislativa, schierarsi in primo luogo in difesa della figura e della condotta di Jacques Necker.
Va letto in quest’ottica il lungo e fin troppo ossequioso elogio del padre presente nella parte finale della terza lettera dedicata al commento dell’Émile; ciò dimostra peraltro che la scrittrice, nonostante l’anonimato di facciata, non sia realmente intenzionata a nascondere la propria identità, tanto più che l’opera circola già da qualche mese tra gli habituédel salotto che lei stessa ha aperto in rue du Bac (sede dell’ambasciata di Svezia) e tra i frequentatori di quello della madre. Jacques Necker, «il più grande amministratore del suo secolo, il più retto e il più limpido ingegno», viene esaltato dalla figlia in quanto autore del trattato De l’importance des opinions religieuses, pubblicato nello stesso 1788, «un libro che gli uomini riuniti potrebbero presentare all’Essere supremo come il più grande passo che hanno mai fatto verso di lui» (Staël, 2008, pp. 78-79). Le Lettres, quindi, si configurano anche come uno strumento per celebrare e creare consenso intorno alla figura di Necker proprio nel momento in cui egli si trova a Versailles per l’apertura della seconda assemblea dei Notabili, il consiglio consultivo composto dai maggiorenti della nobiltà e del clero che Luigi XVI ha riunito per discutere delle procedure che dovranno regolare la composizione e le modalità di votazione degli Stati Generali, già convocati per il successivo 1° maggio 1789.
Già in questo suo primo scritto, comunque, Staël prende posizione anche sul piano ideologico, identificando la linea politica paterna con il moderatismo: «conosco solo un uomo», scrive con implicito riferimento a Necker, «che abbia saputo unire la passione alla moderazione, sostenendo con eloquenza opinioni ugualmente distanti da tutti gli estremi» (Staël, 2008: 45). Nel 1788, quando mancano ancora alcuni mesi alle prime giornate rivoluzionarie parigine, la scrittrice già intravede gli effetti nefasti che l’estremizzazione politica avrà sul corso degli eventi fin dalla prima fase della Rivoluzione. L’elogio del moderatismo in opposizione al radicalismo e la condanna del fanatismo politico compariranno già nel primo articolo d’argomento politico pubblicato nell’aprile del 1791, À quel signes peut-on connaître quelle est l’opinion de la majorité de la nation?, ma costituiranno un autentico leitmotiv del pensiero politico di Staël durante tutto il decennio rivoluzionario, fino al Des circonstances actuelles (cfr. A. Craiutu, A Virtue for Courageous Minds: Moderation in French Political Thought, 1748-1830, Princeton, Princeton University Press, 2012, pp. 158-197). Non a caso, in maniera assai originale rispetto a gran parte dei propri contemporanei, Staël sarà sempre convinta che i germi del Terrore siano da rintracciare nel radicalismo che caratterizza le forze politiche già durante i lavori della Costituente e della Legislativa e questa tesi costituirà uno dei punti cardine delle sue Considérations sur la Révolution française, pubblicate postume nel 1818.
Anche sul piano teorico, nelle Lettres sur Rousseau Staël anticipa alcuni elementi della sua concezione politica che non muteranno più negli anni successivi e che emergono in particolare nella lettera dedicata all’analisi del Contratto sociale, la quarta, forse la meno riuscita delle sei di cui si compone l’opera. Reputando «degna di ammirazione» l’opera politica maggiore di Rousseau, Staël si schiera senza esitazione in favore dell’origine consensuale del potere e delle istituzioni: il Ginevrino ha dimostrato «che è insensato credere che una nazione debba obbedire a leggi contrarie alla sua felicità e che, senza il suo consenso, nessun governo possa essere instaurato né mantenuto» (Staël, 2008, p. 80). Non si tratta di un’ammissione da poco per la figlia del “primo ministro” di Francia, se si considera che il principio di derivazione divina del potere, a cui alla soglie della Rivoluzione in pochi per la verità credono ancora – almeno nell’ambiente colto e borghese in cui vive Staël – verrà negato e formalmente confutato soltanto con l’emanazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’agosto 1789, che affermerà una concezione ascendente e non più discendente del potere. L’idea dell’importanza del consenso popolare quale fattore fondamentale per l’esistenza e la stabilità delle istituzioni è certamente un caposaldo della concezione politica di Staël, la quale ha appreso dal padre che la vera fonte della legittimità politica è sempre l’opinione pubblica. Al contempo, però, la scrittrice rimprovera al Ginevrino l’idea di democrazia diretta e il rifiuto del principio di rappresentanza: «oserò tuttavia biasimare Rousseau», aggiunge, «per non reputare libera la nazione che ha per legislatori i suoi rappresentanti, e di esigere l’assemblea generale di tutti gli individui» (Staël, 2008, p. 81). È proprio contro questa concezione rousseauiana della democrazia che gli «amici della libertà» – così Staël prenderà l’abitudine di chiamare il gruppo di cui si farà portavoce nel corso di tutto il decennio rivoluzionario – dovranno combattere per evitare le derive autoritarie e demagogiche del nuovo mondo che è in procinto di nascere con l’Ottantanove.
L’opera, infine, può essere interpretata come un atto politico anche sotto un altro punto di vista: si sviluppa già in questo primo scritto, infatti, una riflessione sul ruolo sociale della donna che si ritroverà in molte delle opere successive di Madame de Staël, dall’audace pamphlet del 1793 pubblicato in difesa della regina prossima ad essere giustiziata, al De la littérature considérée dans ses rapports avec les institutions sociales (1800), ai romanzi del periodo consolare-imperiale Delphine(1803) e Corinne, ou l’Italie (cfr. M. Gutwirth, 1971, Madame de Staël, Rousseau, and the Woman Question, “PMLA”, 86, n. 1, pp. 100-109). Nelle Lettres sur Rousseau, la scelta della forma epistolare è anzitutto un’implicita risposta a Rousseau, che nella Lettre à M. d’Alembert sur les spectacles (1758) nega che le donne siano in grado di cimentarsi con successo in questo genere letterario. Staël non fa alcun mistero della misoginia di Rousseau, ma al contempo non mette affatto in discussione il modo in cui la società settecentesca intende il ruolo delle donne, di cui del resto le opere del Ginevrino sono uno specchio fedele. Non si scandalizza per il fatto che Rousseau «abbia provato a impedire che le donne si occupassero degli affari pubblici, che avessero un ruolo di primo piano», e anzi sottolinea come egli sia riuscito comunque «a farsi amare parlando di esse». Staël di fatto limita la sfera d’azione delle donne all’ambito domestico: il loro ruolo di mogli e madri è tuttavia importante perché a loro viene assegnato il compito di guidare gli uomini nella sfera privata, «spronandoli a divenire cittadini attivi, sulla scia dello stesso Rousseau e delle abitudini della classe media ginevrina» (C. Takeda, Mme de Staël and Political Liberalism in France, Singapore, Palgrave Macmillan, 2018, p. 50). Madame de Staël rimprovera a Rousseau, invece, di sostenere che le donne «non sono mai capaci di dipingere la passione con calore e verità», di accusarle di «non scrivere che freddamente, di non saper dipingere l’amore». In risposta a ciò, la scrittrice esalta le donne in quanto titolari di una sfera affettiva, sentimentale e amorosa che è guida esclusiva delle loro azioni: «è l’anima che mette in moto la loro intelligenza, che fa ritrovare loro il fascino di un destino nel quale i sentimenti sono le sole avventure, e gli affetti i soli interessi» (Staël, 2008, pp. 49-50).
Tuttavia, Madame de Staël non si limita a tratteggiare un’immagine della donna come custode del focolare domestico e come essere dominato dalle emozioni: opponendosi ancora una volta a una tesi presente nella Lettre à M. d’Alembert in cui Rousseau attacca la figura della salonnière tipica delle monarchie assolute in quanto fonte di corruzione morale per gli uomini, la scrittrice rivendica invece l’importanza delle animatrici di salotti intellettuali in quanto esempi morali per gli ospiti di sesso maschile. Le donne, in quest’ottica, acquisiscono un’influenza fondamentale nella formazione di quell’opinione pubblica che, come detto, per Staël costituisce l’ossatura delle istituzioni (e che, per Habermas, ha origine proprio con i salotti settecenteschi). In questo senso, Staël non può non opporsi anche a un’altra idea misogina di Rousseau: quella secondo cui le donne non debbano essere istruite. Al contrario, proprio grazie all’istruzione sono in grado di elevarsi e di assurgere tanto al ruolo di salonnière, quanto a quello di scrittrice (cfr. Staël, 2008, pp. 50-51). Avendo di fronte agli occhi l’esempio del circolo di philosophes animato dalla madre, la scrittrice tenta in questo modo di contrastare la progressiva perdita d’importanza dei salon in una società sempre più incline a liberarsi delle tradizioni di Ancien Régime e in cui gli uomini di tendenza democratica cominciano sempre più a incontrarsi in assenza di donne – si pensi ad esempio ai club che nasceranno con la Rivoluzione (Takeda, 2007). Madame de Staël, del resto, continuerà ad animare salotti negli anni successivi, in rue du Bac prima, in rue de Grenelle poi, infine a Coppet, ma saranno luoghi di gran lunga più politicizzati dei salon illuministi, quando non veri e propri quartier generali di “partito”, come durante la prima fase della Rivoluzione o nei primi mesi del regime consolare. Resta comunque l’ambivalenza, nelle Lettres, tra l’accettazione del ruolo “domestico” delle donne e la rivendicazione di questa loro fondamentale funzione sociale: ciò si può spiegare soltanto tenendo in considerazione da una parte la necessità di Staël di conciliare il suo background familiare ginevrino con la sua appartenenza all’alta società intellettuale parigina, dall’altra la sua costante tendenza, che perdurerà per tutto il decennio rivoluzionario, a trovare una sintesi tra le opposte istanze repubblicane e monarchiche.