Claudio De Boni ha definito passaggi fondamentali dell’autoconsapevolezza femminile, per le donne francesi, i moti rivoluzionari, a cominciare dal 1789, passando per il 1830, il 1848, il 1871, momenti di fusione con gli ideali politici e sociali (C. De Boni, Donne, lavoro rivoluzione, in La donna in Europa e Toscana nell’Ottocento, a cura di C. Del Vivo, Serravalle Pistoiese, Alvivo, 2019, pp. 31-50). Effettivamente, la formazione delle anarchiche di cui Claudio De Boni ha fornito gli importanti profili, come Louise Michel e André Léo (Léodile Béra) (C. De Boni, Liberi e uguali. Il pensiero anarchico in Francia dal 1840 al 1914, Milano-Udine, Mimesis, 2016, pp. 129 ss.), non è separabile dal movimento emancipazionista internazionale delle donne. Senza andare troppo indietro – come forse varrebbe la pena – si può guardare a un passaggio fondamentale coincidente con il 1869, quando la National Society for Women’s Suffrage, godendo di un consenso definibile di massa, e dell’appoggio di influenti personaggi come John Stuart Mill (Société Nationale de Londres pour le suffrage des femmes, in «Le Droit des femmes. Journal politique, paraissent tous les samedis», 12 giugno 1869), svolgeva importanti meetings (M. Goegg, Correspondance de Genève, in «Le Droit des femmes», 26 marzo 1870. Cfr., sul meeting di Londra, 17 luglio 1869, A.P. Robson-J.M. Robson (eds.), Sexual Equality. Writings by John Stuart Mill, Harriet Taylor Mill, and Helen Taylor, Toronto, University of Toronto Press, 1994, p. 265), mentre un gruppo guidato da Josephine Butler conduceva la battaglia per i diritti delle donne sposate, insieme a quello dell’istruzione su cui le donne mietevano qualche successo per l’ammissione a Collegi universitari (M. Goegg, Correspondance de Genève cit.), e soprattutto le donne inglesi lanciavano una battaglia epocale contro il Contagious Diseases Acts, legislazione sulla prostituzione mirata in modo unilaterale e umiliante contro le donne, che reagivano sotto la guida della stessa Josephine Butler (J. Daubié, L’Agitation Anglaise au sujet de la prostitution, in «L’Economiste Français. Journal de la Science Sociale», 20 giugno 1870).
Il manifesto lanciato, all’inizio 1870, fu un vero e proprio colpo per l’opinione pubblica inglese (M. Goegg, Correspondance de Genève,cit, 26 marzo 1870; cfr. anche M. Delamare, Josephine Butler (1828-1906) et la crise des moeurs en angleterre au XIXesiècle, in «Revue Anglo-americaine », IV (1926), p. 418; L. Hay-Cooper, Josephine Butler and Her Work for Social Purity, London, Society for Promoting Christian Knowledge, 1922, p. 51.), e soprattutto coinvolse i movimenti emancipazionisti europei, a cominciare dalla Association Internationale des femmes, diretta da Marie Gogg e dalla Francia, dove Julie Daubié, su «L’Economiste Français», stabilì un rapporto tra la concezione britannica e quella del suo Paese (J. Daubié, L’Agitation Anglaise au sujet de la prostitution). L’eco vi fu anche altrove, in Russia, ad esempio (H. Rappaport, Encyclopedia of Women Social Reformers, I, Santa Barbara, ABC-Clio, 2001, p. 715), o in America, dove un libro di Virginia Penny chiamava le donne a «non attendere che qualcuno aprisse la porta, ma a sferrare il colpo» (V. Penny, Pioneers, in Think and act: A series of articles pertaining to men and women, work and wages, Philadelphia, Claxton, Remsen and Haffelfinger, 1869, p. 280), perché vi era ovunque un particolare attivismo femminile.
A tutto questo corrispondevano giornali di taglio emancipazionista, come «The Woman’s Journal», organo della American Woman Suffrage Association (S. Galloway, The American Equal Rights Association 1866-1870: Gender, race and Universal suffrage, Thesis submitted for degree of Doctor of Philosophy at the University of Leicester, june 2014, online), o come l’italiano «La Donna», fondato da Gualberta Alaide Beccari nel 1868, con la partecipazione di moltissime donne o, ancora, come i giornali fondati in Portogallo da Francisca Wood, «A Voz feminina», del 1868, e poi «O Progresso», nel 1869 (M. Goegg, Correspondance de Genève cit., 22 gennaio 1870). Ed è proprio questo giornale portoghese che ci conduce sulle tracce della “prima” André Léo, che scrisse, negli ultimi numeri che poterono uscire, sulle prospettive della battaglia femminile.
Era in quel contesto che operava appunto André Léo, protagonista di quel tempo in cui si moltiplicavano i giornali emancipazionisti, spesso organi di associazioni, come il tedesco «Die Neue Zeit» e altri ancora. Ed era in tutto questo che l’emancipazionismo femminile francese avvertiva particolarmente il nesso tra questione femminile e questione sociale. Un importante lavoro di Julie-Victoire Daubié, del 1869, la Femme pauvre au XIXe siècle (Paris, Thorin, 1869-1870), in tre volumi, ebbe larga eco e contribuì a sostanziare altre esperienze, come la fondazione de «Le Journal des femmes», uscito in quel periodo a Ginevra per sottrarsi al capestro economico delle repressive leggi francesi, con una redazione di cui faceva parte André Léo.
Ma André Léo fu parte della redazione anche di un altro giornale importante uscito allora, fondato da un uomo, Léon Richer, insieme a Maria Deraismes, «Le Droit des femmes», con la collaborazione di varie donne, tra cui appunto André Léo e un’altra compagna che rientra nelle segnalazioni di Claudio De Boni, Louise Michel. Era un giornale di forte vocazione europea, cui collaboravano anche altri uomini, oltre a Léon Richer, ed il programma andava oltre il mero emancipazionismo, affermando delle donne:
Esse vogliono tutto ciò che gli oppressi, gli assoggettati hanno voluto dall’inizio della società: la loro giusta parte di diritto e di libertà […]. Ciò che le donne vogliono è lo sviluppo della loro ragione per compiere i loro doveri e il possesso legittimo di tutti i loro diritti. Poiché tutti gli esseri ragionevoli sono uguali, niente di più logico. […]. Abolire i privilegi è servire la giustizia, è moralizzare e, per conseguenza progredire. (M. Deraismes, Ce que veut la femme, in «Le Droit des femmes », 10 aprile 1869)
Non mancavano i conflitti in un insieme tanto ricco e complesso di ingegni nei quali era forte l’eredità sansimoniana, in cui afferivano anche ideologie radicali, repubblicane, ma sostanzialmente vi erano profonde differenze tanto sul tema dell’emancipazionismo che su quello sociale. Ed era il campo in cui agiva un gruppo di donne che tenevano insieme le due prospettive, rilanciate con un Manifesto sul giornale «Droit des femmes», elaborato a più voci, tra le quali una vera e propria leader, Maria Deraismes, e poi André Léo e Louise Michel, oltre a un’altra di quel gruppo fortemente legato alla prospettiva sociale, Noémi Reclus.
Quel Manifesto fu la base di un Comitato che teneva insieme il tema dei diritti, con questioni sociali particolarmente importanti, come quello della ricerca della paternità, e quello in generale della miseria, tutte cose che collocavano la donna nel punto più basso della società (Revendication des droits civils refusés à une moitié du genre humain, in «Le Droit des femmes», 18 aprile 1869).
Anche in questo caso, si trattava di questioni dalla dimensione mondiale, che, per quanto riguardava l’emancipazionismo femminile, si riflettevano in importanti sinergie, come quella tra l’American Equal Rights Association e l’Associations Internationale des femmes guidata da Marie Gogg (Ead., Correspondance de Genève cit., 5 giugno 1869 e Address, in «Le Droit des femmes», 19 giugno 1869). Poiché però, nei contatti tra quelle associazioni, si parlava di origine dei diritti, André Léo volle ribadire, su «Le Droit des femmes», nel giugno 1869, che era sbagliato ricondurne il primato originario agli Stati Uniti e invitava a trovarlo invece nella rivoluzione francese, per i diritti delle donne, ma anche più in generale, perché gli americani erano stati mossi da un principio “nazionale”, mentre i francesi, nel 1789, erano mossi da un richiamo universale all’umanità, senza contare poi il vulnus “costituzionale” della schiavitù così antitetico ai diritti dell’uomo (A. Léo, Lettera alla redazione, in «Le Droit des femmes. 12 giugno 1869).
C’erano in tutto questo le premesse di una formazione politica che teneva insieme diversi livelli d’impegno, una elaborazione che trovò sbocco nell’adesione di quelle donne alla Comune di Parigi, insieme a molte altre (L. Fournier,La Comune al femminile, in «Ferruccio – Rivista di Storia e Webinar», 2 marzo 2021). Lì, come ha scritto Claudio De Boni, anche per le intellettuali, come Louise Michel, fu il momento di essere donne più «di lotta e di propaganda che di dottrina» (De Boni, Donne, lavoro rivoluzione cit., p. 41).
I drammatici avvenimenti che accompagnarono la fine dell’Impero in Francia imposero una sosta nella pubblicazione del «Droit des femmes», risorto poi il 24 settembre del 1871, con un nuovo titolo, «L’Avenir de femmes», di cui era ancora redattore in capo Léon Richer (P. de Lauribar, M. Léon Richer, in «La Française. Journal de Progrès féminine», anno I, 30 dicembre 1906). Pochi giorni prima, il 5 settembre, il IV Consiglio di guerra aveva condannato a morte tre delle cinque donne che processava per incitamento alla guerra civile e incendi negli ultimi giorni della Comune (M. Deraismes, Un réquisitoire, in «L’Avenir des femmes. Journal Politique, paraissant tous les dimanches», 24 settembre 1871).
La coraggiosa arringa di un ufficiale che agiva da difensore d’ufficio, il sottotenente Guinez, parlò di donne che «se avessero ricevuto un’educazione, dei buoni esempi, e se non fosse mancato loro il pane, non sarebbero divenute ausiliarie dell’insurrezione». Quel discorso fu elogiato da Maria Deraismes e, intanto, un gran numero di firme femminili appoggiò la richiesta di amnistia, dopo le tre condanne a morte di tre di quelle imputate, commutate poi nella deportazione, lo stesso destino che colpiva Louise Michel.
Era un fatto che la Comune era stata un crogiolo di antiche tendenze rivoluzionarie delle donne, di nuovi concetti sociali, di ideologie, comprese quella della Prima Internzionale condotte a Parigi da Elisabeth Dmitrieff, e di diversi affluenti dell’emancipazionismo in un insieme condiviso che interessava un’idea libera e emancipata della famiglia, di parità tra i sessi, di diritti all’educazione e al lavoro, di altro ancora (L. Fournier, La Comune al femminile cit.).
Il 27 settembre 1871 a Losanna, al Congresso della League de la Paix et de la Liberté, un’esule comunarda, la “seconda” André Léo, ora compagna di Benoît Malon, pronunciò il discorso La guerre sociale. Sottolineava il cambiamento intervenuto nelle ragioni stesse della League, nata intorno a un principio morale ed all’indignazione per l’eccessivo potere degli imperi sulla vita umana, dopo il terribile quadriennio intercorso, culminato nelle cannonate e nelle fucilazioni contro il popolo della Comune. A rovinare la “più bella causa” erano stati alcuni incapaci, ma nessuna delle accuse rivolte ai rivoluzionari aveva senso, né saccheggi, né omicidi, salvo la soppressione di qualche spione. Il discorso metteva sul tavolo una tematica diversa da quella della pace perché spiegava le ragioni di una guerra cui attribuiva un senso, quella per la giustizia sociale, che non tutti i congressisti accettavano:
«Fino a quando un bambino nascerà non avendo altre fate alla sua culla che la morte, pronta a ghermire […] la sua fragile esistenza, e la miseria che, sfuggendo alla morte renderà rachitiche le sue membra o atrofizzerà le sue facoltà […] invece della festa della vita che la donna ricca o agiata dà al suo bambino; finché allevato per strada […] la sua infanzia dolorosa sarà privata anche dell’innocenza; fino a quando la sua intelligenza non riceverà tutt’al più che un’istruzione superstiziosa […] senz’altro avvenire che il lavoro giorno per giorno della bestia da soma, l’umanità sarà frustrata dei suoi diritti, per la gran parte dei suoi membri, la società vivrà di vita povera, stretta, corrotta […], l’eguaglianza non sarà che una lotta e la guerra, la più orribile […] desolerà il mondo, disonorando l’umanità». (A. Léo, La guerre sociale. Discours prononcé au Congrès de la Paix, a Lausanne, Neuchatel, Imprimerie G. Guillaume fils, 1871)
Sempre richiamandosi a Claudio de Boni, il caso di Louise Michel dimostra come quello fosse stato un momento di passaggio fondamentale dalla vaga simpatia blanquista alla coscienza anarchica, con in più, però, per la donna, il dovere di combattere, insieme all’«ingiustizia complessiva di un mondo dominato dagli interessi politici ed economici a danno dei più deboli», la mentalità che la descriveva «come inferiore all’uomo», ben presente anche nelle famiglie operaie.