- Ho avuto modo di conoscere Claudio De Boni purtroppo soltanto mediante i suoi lavori, dalle sue mirabili ricerche sullo stato sociale a quelli sul positivismo e l’anarchismo. solo per citarne alcuni. Mi riallaccio a quanto è stato detto dagli altri relatori sulle classi pericolose e sull’idea di studiare il corpo sociale medicalmente. In particolare, nel mio breve intervento accennerò ad alcuni aspetti del volto femmineo delle classi pericolose. Non è un caso se, a metà Ottocento, in Francia e non solo, scoppiano aspre polemiche sul controllo e/o la repressione della prostituzione e sulle conseguenti questioni di ordine profilattico-sanitario. Tale problema non è certo nuovo per il diritto, così come le sue possibili ricadute sulla tutela della salute, ma nel corso del XIX secolo tali temi assumono delle connotazioni peculiari rientrando a pieno titolo nella più ampia ossessione securitaria ottocentesca. Tra gli assidui e loschi frequentatori dei bassifondi delle metropoli raffigurati nella letteratura e nelle cronache dell’epoca con tratti sempre più temibili, le prostitute (A. Corbin, Les filles de noce. Misère sexuelle et prostitution, XIXe et XXe siècles, Paris, Aubier Montaigne, 1978, trad. it. Donne di piacere. Miseria sessuale e prostituzione nel XIX secolo, Milano, Mondadori, 1985), volto femmineo ma non meno letale, delle emergenti classes dangereuses (H.A. Frégier, Des classes dangereuses de la population dans les grandes villes, et des moyens de les rendre meilleurs, Paris, Baillière, 1840, tt. I-II; L. Chevalier, Classes laborieuses et classes dangereuses à Paris, pendant la première moitié du XIX siècle, Paris, Plon, 1958, trad. it. Classi laboriose e classi pericolose a Parigi durante la metà del XIX secolo, Roma-Bari, Laterza, 1976), occupano certamente un posto di tutto rispetto.In questo contesto viene esasperata l’immagine della meretrice come nemica della società su un doppio fronte. Accanto alle più generali questioni di mantenimento dell’ordine pubblico emerge anche il sempre più scottante tema della tutela della salute pubblica, pesantemente minacciata dai possibili rapporti mercenari e dal conseguente pericolo di contrarre malattie veneree di cui le prostitute sono ritenute quasi delle ‘naturali’ portatrici, consolidandosi così una volta per tutte il binomio prostituzione-sifilide (H.A. Frégier, Histoire de l’administration de la police de Paris depuis Philippe-Auguste jusqu’aux états généraux de 1789 ou tableau moral et politique de la ville de Paris durant cette période considéré dans ses rapports avec l’action de la police, Paris, Guillaumin, 1850, t. II, pp. 53-54), tant’è che inizia a parlarsi di un vero e proprio “pericolo venereo”. Accanto all’ordine morale e all’integrità familiare che potrebbe infrangersi, esiste un’altra fobia che il fenomeno prostitutivo reca con sé. Si tratta del rischio di contagio da malattie veneree che, lungi dal rimanere confinato nelle sfere del singolo, può intaccare ancora più pericolosamente la sacralità della famiglia. La prostituzione, infatti, per molti se correttamente “disciplinata” e “tollerata” è addirittura utile: le donne dedite al commercio di sé sono state sì perseguite penalmente ma anche “tollerate” perché le loro alcove sono considerate un porto sicuro per i mariti insoddisfatti senza tuttavia mettere a rischio il matrimonio con ancor più pericolose relazioni adulterine. Invece, la “peste venerea” collega due mondi che devono per forza di cose rimanere separati: quello dell’amore coniugale, finalizzato alla procreazione e quello dell’amore mercenario. La paura dilaga in tutto il Vecchio Continente dove si assiste ad una «drammatizzazione delle malattie veneree» (E. Tognotti, L’altra faccia di Venere. La sifilide dalla prima età moderna all’avvento dell’AIDS, XV-XX sec., Milano, FrancoAngeli, 2006, p. 21) senza precedenti visto il diffondersi della fobia della c.d. eredosifilide, cioè il timore anche delle conseguenze ereditarie delle malattie veneree, tant’è che la malattia venerea diventa «loin de cristalliser l’anxiété que suscite alors l’hérédité morbide» (A. Corbin, L’hérédosyphilis ou l’impossible rédemption. Contribution à l’histoire de l’hérédité morbide [1981] in Id., Le Temps, le désir et l’horreur. Essais sur le XIXesiècle, Paris, Flammarion, 2014, p. 141), generando l’ansia di una degenerazione biologica e razziale, che avrebbe poi alimentato le teorie eugenetiche di inizio Novecento.
- Nell’Ottocento in Francia la paura del contagio induce i giuristi a considerare la prostituzione un fenomeno da disciplinare alla stregua di un’attività “pericolosa”. Si assiste alla nascita del regolamentarismo basato sulla stretta sorveglianza (poliziesca e igienico-sanitaria) della prostituzione per impedirne ogni eccesso e limitarne il dilagare incontrollato. Queste idee, sebbene non fossero mancati in passato tentativi d’istituzionalizzazione della prostituzione (J. Rossiaud, Amours vénales. La prostitution en Occident, XIIe-XVIe siècle, Paris, Aubier, 2010, trad. it. Amori venali. La prostituzione nell’Europa medievale, Roma-Bari, Laterza, 2015, edizione digitale), vengono espresse in maniera compiuta nel pioneristico lavoro dell’igienista francese Alexandre Jean-Baptiste Parent-Duchâtelet (1790-1836) sulla prostituzione a Parigi che, definendo il meretricio égout séminal (A.J.-B. Parent-Duchâtelet, De la prostitution dans la ville de Paris considérée sous le rapport de l’hygiène publique, de la morale et de l’administration: ouvrage appuyé de documents statistiques puisés dans les Archives de la Préfecture de Police, tt. 1-2, Paris, Baillière, 1836), auspica la predisposizione di ambienti chiusi (dalla maison all’intero quartiere) e fortemente gerarchizzati in cui poter agevolmente svolgere la sorveglianza, punto centrale del nascente sistema di tolleranza. Tale termine è emblematico della logica regolamentarista frutto di una politica ben precisa in cui «aggirando i giuristi, i medici si erano alleati con le autorità amministrative per gestire la prostituzione come una terapia» (J.-P. Baud, L’affaire de la main volée. Une histoire juridique du corps, Paris, Seuil, 1993, trad. it. Il caso della mano rubata. Una storia giuridica del corpo, Milano, Giuffré, 2003, p. 170) tanto da potersi parlare di medici-legislatori (J.D. Ellis, The physician-legislators of France. Medicine and Politics in the early Third Republic, 1870-1914, Cambridge, Cambridge University Press, 1990). Si assiste pertanto all’instaurazione del c.d. système français (J.-M., Berliere, La police des mœurs, Paris, Perrin, 2016, edizione digitale) che trova giustificazione nella forte presa di posizione del procuratore generale della Corte di Cassazione André-Marie Dupin (1783-1865) il quale, già nel 1859 invocava la necessità del pugno di ferro contro la prostituzione addirittura paragonando le misure da applicare alle filles publiques a quelle previste in un regime militare (C.J. Lecour, La prostitution à Paris et à Londres, 1789-1870, Paris, Asselin, 1870, pp. 40-41). Le parole di Dupin appaiono profetiche poiché di lì a poco la Francia sarebbe entrata nell’âge d’or della regolamentazione con l’instaurazione nelle città più popolose – Parigi, Marsiglia, Lione e Bordeaux – (G. Bolis, La polizia e le classi pericolose della società, Bologna, Zanichelli, 1871, p. 940) di un regime di polizia nei confronti delle prostitute o presunte tali che prevede, oltre alla loro registrazione in appositi elenchi, il controllo sanitario anche coatto. Protagonista indiscussa la contestata police des mœurs, erede della prima brigadecreata nel 1747 su impulso del luogotenente generale di polizia Nicolas-René Berryer (1703-1762) (E. Anglade, Coup d’œil sur la police, depuis son origine jusqu’a nos jours, Agen, Quillot, 1847, pp. 217-218) quale sezione speciale per sorvegliare prostitute e protettori, dapprima come attività di intelligence su determinati ambienti malavitosi e successivamente come limite ai comportamenti “oltraggiosi” del pubblico pudore. Grazie alla spinta repressiva del celebre prefetto di Parigi, Louis Jean-Baptiste Lépine (1846-1933) (M. Anderson, In Thrall to Political Change. Police and Gendarmerie in France, Oxford-New York, Oxford University Press, 2011, p. 160) la suddetta divisione della polizia, con la giustificazione della necessità sia del mantenimento della moralità e del decoro nelle pubbliche vie, sia della tutela della salute pubblica, (J. Jeannel, De la prostitution dans les grandes villes au dix-neuvième siècle et de l’extinction des maladies vénériennes, Paris, Baillière, 18742), eserciterà in maniera arbitraria e brutale i propri poteri. A Parigi i gendarmi della police des mœurs sono tenuti a far rispettare i regolamenti del 16 novembre 1843 e del 15 ottobre 1878 che prevedono la sorveglianza costante delle case di tolleranza e l’ottemperanza da parte di ogni tipologia di prostituta (tra cui le filles à numéro o filles de maison cioè quelle tesserate ed esercitanti nelle case di tolleranza dalle filles en carte cioè le prostitute libere ma che figurano comunque sui registri della prefettura della polizia o del comune) (C. Authier, Femmes d’exception, femmes d’influence. Une histoire des courtisanes au XIXesiècle, Paris, Armand Colin, 2015 (edizione digitale) di numerose incombenze (dal divieto di circolare a determinate ore a quella di indossare cappelli passando ovviamente per l’obbligo di visita medica). Non mancano, altresì, vere e proprie retate specie nella zona dei Grands Boulevards o di Montmartre per arrestare le c.d. prostitute irregolari (E. Richard, La Prostitution à Paris, Paris, Baillière, 1890).
- Il système français, sebbene teso alla secolarizzazione del diritto penale e alla modernizzazione del paese, si presenta sin dall’inizio fallimentare: non solo non argina ma finisce con enfatizzare il pericolo venereo. Proprio l’obbligo di visita e ricovero delle prostitute infette comporta il ritorno all’epoca in cui il morbo venereo era «un’impurità piuttosto che una malattia» (M. Foucault, Histoire de la folie à l’âge classique, suivi de Mon corps, ce papier, ce feu et La folie, l’absence d’œuvre, Paris, Gallimard, 1972, trad. it. Storia della follia nell’età classica, Milano, Bur, 2012, edizione digitale) e i sifilitici macchiatisi dei più gravi «peccati della carne» venivano internati. Le malattie veneree diventano sempre più stigmatizzanti, tant’è che le prostitute infette vengono rinchiuse presso l’infermeria del carcere di Saint-Lazare, inaugurato nel 1836, sorta di simbiosi tra prigione e ospedale. A ciò si aggiungono la corruzione, la brutalità e i soprusi della police des mœurs sul finire degli anni Settanta dell’Ottocento, motivo di non poche polemiche (A. Aisenberg, Syphilis and Prostitution. A Regulatory Couplet in Nineteenth-Century France, in Sex, Sin, and Suffering: Venereal Disease and European Society since 1870, a cura di R. Davidson, L.A. Hall, London-New York, 2001, pp. 15-28). Inoltre, la forte compressione dei diritti più elementari delle prostitute, con la conseguente creazione di un regime di polizia in deroga a quello ordinario, risulta ancora più paradossale se si pensa che siamo in piena IIIe République cioè quella che doveva essere l’epoca aurea delle libertà. Per comprendere l’imponenza del fenomeno basti pensare che solo nella capitale francese dal 1871 al 1903 vengono arrestate 725.000 donne sospettate di prostituzione a fronte di 155.000 registrate come esercitanti la professione. (L. Fiaux, La Police des Mœurs devant la Commission extra-parlementaire du régime des mœurs, Paris, Alcan, 1907, t. I, pp. XVIII-XIX). Come osserva polemicamente uno dei più acerrimi oppositori del sistema il medico nonché membro del Consiglio Municipale di Parigi e vicepresidente della branca francese della Fédération pour l’abolition de la Police des mœursLouis Fiaux (1847-1936), si può arrivare a simili cifre solo con mezzi brutali. Con toni ancor più aggressivi interviene un altro importante protagonista della lotta contro il regolamentarismo come Yves Guyot (1843-1928), giornalista (con studi giuridici), economista ed esponente della sinistra radicale, che pubblica una serie di articoli al vetriolo contro la violenza della polizia, definendo senza mezzi termini le visite ginecologiche imposte alle prostitute, uno stupro autorizzato e rimarcando come persino la polizia incaricata di vigilare sulla morale e il buon costume avesse «liberté du viol» (Y. Guyot, La prostitution, Paris, Charpentier, 1882, p. 302). Tali opinioni non sono isolate ma portano – come nella gran parte dei paesi occidentali – alla nascita del movimento abolizionista che, sull’onda emotiva dell’abolizione della schiavitù nel Nord America, considera la prostituzione un’ulteriore forma di asservimento della popolazione femminile e auspica l’eliminazione della police des mœurs e dell’intera macchina regolamentatista così come ogni forma di legalizzazione.
- Le basi teoriche dell’abolizionismo affondano le proprie origini nel mito della libertà individuale, figlio della mentalità del 1789 e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo con relativa affermazione dell’uguaglianza dei sessi di fronte alla legge. Da ciò deriva l’aspra critica nei confronti della police des mœurs e di ogni forma di regolamentazione della prostituzione che, al contrario, dovrebbe essere una libera scelta della donna. Se, tuttavia, questi erano gli approcci più liberali, frutto certamente delle voci vicine all’estrema sinistra, al movimento operaio (che denunciano il fenomeno prostitutivo come harem del capitalista) (A. Corbin, Donne di piacere cit., pp. 255-266) e al nascente movimento femminista, non mancano però accenti più moralistici e puritani. Questi ultimi, infatti, colorano l’abolizionismo come campagna per sopprimere tout court la prostituzione intesa come terribile vizio e rilanciare la pubblica morale, la continenza e la precocità dei matrimoni. La doppia anima dell’abolizionismo (P. Baldwin, Contagion and the State in Europe, 1830-1930 cit., pp. 383-384) non può che depotenziare il movimento stesso, già spaccato al proprio interno, come emerge dai primi congressi della Federazione. In ogni caso, una vittoria indiscussa (J.-J., Yvorel, Légiférer sur la sexualité de jeunesse. La loi de 1908 sur la prostitution des mineurs, in La cité charnelle du Droit, a cura di A. Stora-Lamarre, Besançon, Presses universitaires franc-comtoises, 2002, p. 120) del movimento, anche grazie al lavoro della commissione d’inchiesta nominata nell’ambito del consiglio municipale di Parigi, è l’abolizione della police des mœurs che il 9 marzo 1881, per ordine del prefetto Andrieux, viene “assorbita” all’interno delle brigades de sûreté (J.-M. Berliere, La police des mœurs cit.) Se questa decisione di fatto permette loro di agire comunque, tale abolizione (sia pur temporanea visto che la police des mœurs verrà poi nuovamente reintrodotta sotto la denominazione di police mandaine) assume una portata simbolica nell’ambito della lotta per l’abolizionismo che, tuttavia, è destinata a soccombere agli albori del Novecento, di fronte alle emergenti correnti neo-regolamentariste tese a superare le critiche degli abolizionisti pur senza lasciare la prostituzione priva di una disciplina giuridica, riportando in auge l’idea che la prostituzione non più peccato è un fenomeno da tenere a bada dal punto di vista igienico-sanitario e che, per quanto riprovevole, è comunque inevitabile o addirittura utile per la società. L’amore venale diventa, dunque, ancora una volta, un male necessario che paradossalmente tutela e addirittura rafforza il vincolo matrimoniale, evitando l’instaurarsi di rovinose relazioni sentimentali extraconiugali.
Contro il système français: il dibattito sull’abolizione della prostituzione nella Francia fin de siècle – Emilia Musumeci