La Francia attirò costantemente l’attenzione di Niccolò Machiavelli (1469-1527) e costituì un modello per affrontare alcune fondamentali questioni della politica.
I Ritratti delle cose di Francia è la relazione redatta nei mesi successivi alla sua terza ambasceria per conto della Repubblica fiorentina. Machiavelli elogia la forza del regno francese, di una monarchia che era stata in grado di imbrigliare i centri di potere feudale accentrando le leve nelle mani del sovrano e di creare un senso della patria che è a tutti gli effetti l’elemento di unione tra sudditi e re.
L’analisi si concentra dunque non tanto sulle istituzioni (a cui Machiavelli dedicherà attenzione soprattutto nelle opere scritte post res perditas), quanto sui rapporti tra re e baroni, divenuti un appoggio fondamentale per creare l’unità del regno, sulla “natura” del popolo francese e, infine, sulla questione delle armi, in particolare sul problema dell’abbandono della fanteria permanente.
Niccolò Machiavelli
da Ritratti delle cose di Francia (1510)[*]
La corona e gli Re di Francia sono oggi più gagliardi, ricchi, e più potenti che mai fussino per le infrascritte ragioni.
La corona, andando per successione del sangue, è diventata ricca, perché, non avendo il Re qualche volta figliuoli, né chi gli succedesse nella eredità propria, le sustanze, e beni propri, e stati sono rimasti alla corona. Ed essendo intervenuto questo a molti Re, la corona viene ad essere arricchita assai per li molti stati che gli sono pervenuti, come fu il Ducato d’Angiò, ed al presente come interverrà a questo re, che per non avere figli maschi, perverrà alla corona il ducato d’Orliens, e lo stato di Milano; in modo che oggi tutte le buone terre di Francia sono della corona, e non de’ privati Baroni loro.
Un’altra ragione ci è, potentissima, della gagliardia di quel Re, che è che pel passato la Francia non era unita, per gli potenti Baroni che ardivano e gli bastava loro l’animo a pigliare ogni impresa contro al Re, come era uno duca di Ghienna, di Borbone, i quali oggi sono tutti ossequentissimi; e però viene a essere più gagliardo.
Ecci un’altra ragione: che ad ogni altro principe vicino bastava loro l’animo assaltare il reame di Francia, e questo perché sempre aveva o un Duca di Brettagna, overo un Duca di Ghienna, o di Borgogna, o di Fiandra che gli faceva scala, davagli il passo, e ricettavalo; come interveniva quando gli Inghilesi avevano guerra con Francia, che sempre per mezzo di un duca di Brettagna davano che fare al re; e così un Duca di Borgogna, per mezzo di un Duca di Borbone. Ora essendo la Brettagna, la Ghienna, il Borbonese, e la maggiore parte di Borgogna suddita ossequentissima a Francia, non solo mancano a tali principi questi mezzi di potere infestare el reame di Francia, ma li hanno oggi nimici, ed anche il re, per avere questi stati, ne è più potente, e il nemico più debole.
Ancora ci è un’altra ragione: che oggi li più ricchi et li più potenti baroni di Francia sono di sangue reale et della linea: che, mancando alcuni de’ superiori et antecedenti a lui, la corona può pervenire in lui. […]
L’ultima ragione che ci è, è questa: che li stati de’ baroni di Francia non si dividano tra li eredi, come si fa nella Alemagna e in più parte di Italia, anzi pervengono sempre nei primogeniti, e quelli sono i veri eredi, e gli altri fratelli stanno pazienti, ed aiutati dal primogenito e fratello loro, si danno tutti alle arme e si ingegnono in quel mestieri di pervenire a grado et a condizione di potersi comperare uno stato, e con questa speranza si nutriscono. E di qui nasce che le gente d’arme franzese sono oggi le migliore che sieno, perché si truovono tutti nobili e figlioli di signori, e stanno ad ordine di venire a tal grado.
Le fanterie che si fanno in Francia non possono essere molto buone, perché gli è gran tempo che non hanno avuto guerra, e per questo non hanno esperienza alcuna. E dipoi sono per le terre tutti ignobili et gente di mestiero; e stanno tanto sottoposti a’ nobili et tanto sono in ogni azione depressi che sono vili. E però si vede che il re nelle guerre non si serve di loro, perché fanno captiva prova, benché vi sieno li guasconi, di chi il re si serve, che sono un poco meglio che gl’altri; e nasce perché sono vicini a’ confini di Spagna, che vengono a tenere un poco dello spagnuolo. Ma hanno fatto, per quello che s’è visto da molti anni in qua, più pruova di ladri che di valenti uomini. Pure nel difendere e assaltare terre fanno assai buona pruova; ma in campagna [nelle grandi battaglie] la fanno captiva, che vengono ad essere il contrario de’ Tedeschi e Svizzeri, i quali alla campagna non hanno pari, ma per difendere et offendere terre non vagliono. E credo che nasca perché in questi due casi non possono tenere quello ordine della milizia che tengono in su’ campi; et però il re di Francia si serve sempre o di svizzeri o di lanzechenecche, perché le sue gente d’arme dove si abbia inimico opposito, non si fidono di guasconi. E se le fanterie fussino della bontà che sono le gente d’arme Francesi, non è dubio che li basteria l’animo a defendersi da tutti i principi.
I franzesi sono per natura più fieri che gagliardi o destri; et in uno primo impeto chi può resistere alla ferocità loro, diventano tanto umili, e perdono in modo l’animo che divengono vili come femmine. Ed anche sono insopportabili de’ disagi ed incommodi loro, e col tempo straccurano le cose in modo che è facile, col trovargli in disordine, superarli. Di che se ne è visto la sperienzia nel reame di Napoli tante volte, et ultimamente al Gherigliano, dove erono per metà superiori alli spagnuoli, et si credeva se gli dovessino ogni ora inghiottire; tuttavolta, perché cominciava el verno, le piove erono grandi, cominciorono ad andarsene a uno a uno per le terre circumvicine per stare con più agi; et così el campo rimase sfornito et con poco ordine, in modo che spagnuoli furono vittoriosi contro a ogni ragione. […] Et però chi vuole superare e’ franzesi si guardi dal primo loro impeto, ché con lo andarli intrattenendo, per le ragioni dette di sopra, li supererà. Et però Cesare disse e’ Franzesi essere in principio più che uomini et in fine meno che femmine.
La Francia per la grandezza sua e per la comodità delle grandi fiumane è grassa ed opulenta, dove e le grasce [prodotti alimentari] e le opere manuali vagliono poco o niente per la carestia de’ danari che sono ne’ populi, i quali appena ne possono ragunare tanti che paghino al signore loro i dazii, ancora che sieno piccolissimi. Questo nasce perché non hanno dove finire le grasce loro: perché ogni uomo ne ricoglie da vendere; in modo che, se in una terra fussi uno che volessi vendere un moggio di grano, non troverria, perché ciascuno ne ha da vendere. Ed i gentiluomini de’ denari che traggono da’ sudditi, dal vestire in fuori, non spendono niente; perché da per loro hanno bestiame assai da mangiare, pollaggi infiniti, laghi et luoghi pieni di venagione d’ogni sorte: et così universalmente ha ciascuno uomo per le terre; in modo che tutto il danaio perviene nelli signori, il quale oggi in loro è grande; et però come quegli populi hanno uno fiorino li pare essere ricchi.
Li prelati di Francia traggono due quinti delle entrate e ricchezze di quello regno, perché vi sono assai vescovadi et hanno il temporale et lo spirituale; et poi avendo per il vitto loro cose abbastanza, però tutti li denari che li pervengono nelle mani non escono mai, secondo l’avara natura de’ preti et religiosi; et quello che perviene ne’ Capitoli e Collegi delle Chiese, si spende in argenti, gioie, ricchezze per ornamento delle Chiese. In modo che, fra quello che hanno le chiese proprie et quello che hanno i religiosi e particolari fra ori ed argenti, vale uno tesoro infinito.
Nel consultare et governare le cose della corona e stato di Francia, sempre intervengono in maggiore parte prelati; et li altri signori non se ne curano, perché sanno che le esecuzioni hanno ad essere fatte da loro: et però ciascuno si contenta, l’uno collo ordinare, l’altro collo esequire; benché vi intervenga ancora de’ vecchi già suti uomini di guerra, perché, dove si ha a ragionare di simile cose, possino indirizzare li prelati che non ne hanno pratica. […]
La natura de’ Francesi è appetitosa di quello d’altri, di che insieme col suo e quello altrui è poi prodiga. E però il Francese ruberia con lo alito per mangiarselo, e mandarlo male, e goderselo con colui a chi lo ha rubato. Natura contraria alla Spagnuola, che di quello che ti ruba mai ne vedi niente.
[…]
Sono i popoli di Francia umili e ubbidientissimi, ed hanno in grande venerazione il loro Re. Vivono con pochissima spesa per la abbondanza grande delle grasce; ed anche ognuno ha qualche cosa stabile da per se. Vestono grossamente e di panni di poca spesa; e non usano seta di nessuna sorte, né loro né le donne loro, perché sarebbono notati dalli gentiluomini.
[…]
L’entrata ordinaria o straordinaria della corona non ho potuto sapere, perché ne ho domandati molti e ciascuno mi ha detto essere tanta quanta ne vuole il Re. Tamenqualcuno dice una parte dell’ordinario, cioè quello che è detto presto danaio del Re, si cava di gabella, come pane, vino, carne, e simili ha scudi un milione e settecento mila; e lo straordinario cava di taglie quanto lui vuole, e queste si pagano alte, basse come pare al Re; ma non bastando si pongono preste, e raro si rendono; e le domandano per lettere regie in questo modo: Il Re nostro Sire si raccomanda a voi, e perché ha fauta d’argento [faute d’argent] vi priega li prestiate la somma che contiene la lettera. E questa si paga in mano del ricevitore del luogo, e in ciascuna terra ne è uno, che riscuote tutti i proventi, così di gabelle come di taglie e preste.
Le terre suddite alla corona non hanno fra loro altro ordine che quello che li fa il Re in far danari o pagar dazi, come di sopra.
L’autorità de’ Baroni sopra i sudditi è mera [intera]. L’entrata loro è pane, vino, carne, come di sopra, e tanto per fuoco l’anno; ma non passa sei o otto soldi per fuoco, di tre mesi in tre mesi. Taglie o preste non possono porre senza consenso del Re; e questo raro si consente.
La corona non trae di loro altra utilità che l’entrata del sale, né mai gli taglieggia se non per qualche grandissima necessità.
[…]
L’uffizio del Gran Cancelliere è merum imperium, e può graziare e condannare a suo libito etiam in capitalibus sine consensu Regis. Può rimettere i litiganti contumaci nel buon dì. Può conferire i benefizi col consenso del Re; tamenperché le grazie si fanno per lettere reale sigillate col gran sigillo reale, però lui tiene el gran sigillo. Il salario suo è diecimila franchi l’anno e undicimila franchi per tenere tavola; tavola: s’intende per dare desinare e cena a quelli tanti del Consiglio che seguono il Grande Cancelliere, cioè avvocati e altri gentiluomini, che lo seguono, quando a loro piacesse mangiare seco; che si usa assai.
La pensione che dava il Re di Francia al Re d’Inghilterra, era cinquantamila franchi l’anno, ed era per ricompensa di certe spese fatte dal padre del presente Re d’Inghilterra nella Ducea di Brettagna, la quale è finita e non si paga più.
Al presente non vi è in Francia che un gran Siniscal; ma quando vi sono più Siniscal (non dico grandi, che non è che uno) l’ufficio loro è sopra le genti d’arme ordinarie e straordinarie, le quali per degnità dello ufficio suo sono obbligate ad ubbidirlo.
I governatori delle provincie sono quanti il Re vuole, e pagati come al re pare, e si fanno annuatim, & ad vitam, ut regibus placet; e gli altri governatori, ed anco i luogotenenti delle piccole terre sono tutti messi dal Re. Ed avete a sapere, che tutti gli uffici del regno sono o donati o venduti dal re e non da altri.
Il modo del fare li stati si è, ciascuno anno di Agosto, quando d’Ottobre, quando di Gennaio, come vuole il Re; e si porta la spesa e l’entrata ordinaria di quell’anno per mano de’ generali, e quivi si distribuisce l’entrata secondo l’uscita; e si accresce e diminuisce le pensioni e pensionari come piace al Re.
Della quantità delle distribuzioni delli gentiluomini e pensionari non è numero; ma non si appruova niente per la Camera de’ conti, e basta loro l’autorità del Re.
L’ufficio della camera de’ conti è rivedere i conti a tutti quelli che ministrano danari della corona, come sono generali, tesaurieri, e ricevitori.
Lo studio di Parigi è pagato delle entrate delle fondazioni de’ collegi, ma magramente.
Li Parlamenti sono cinque; Parigi, Roano, Tolosa, Burdeos, e Delfinato, e di nissuno si appella.
Li Studi primi [università] sono quattro; Parigi, Orliens, Borges, e Pottieres; e dipoi Torsì e Angieri, ma vagliono poco.
Le guarnigioni stanno dove vuole il Re, e tante quante a lui pare, così delle artiglierie, come dei soldati. Nientedimeno tutte le terre hanno qualche pezzo d’artiglieria in munizione, e da due anni in quà se ne è fatte assai in molti luoghi del regno a spese delle terre dove furono fatte, con accrescere un danaio per bestia, o per misura. Ordinariamente quando il Regno non teme di persona le guarnigioni sono quattro, cioè in Ghienna, Piccardia, Borgogna, e Provenza; e si vanno poi mutando ed accrescendo più in uno luogo che in uno altro secondo i sospetti.
Ho fatto diligenza di ritrarre quanti danari sieno assegnati l’anno al Re per le spese sue di casa e della persona sua, e trovo averne quanti ne domanda.
Li arcieri sono quattrocento deputati alla guardia della persona del re, tra quali ne sono cento scozeschi, e anno l’anno trecento franchi per uomo e uno saione, come usano, alla livrea del re. Quelli del corpo del re, che sempre li stanno al lato, sono ventiquattro con quattrocento franchi l’uno l’anno. Capitano ne è Monsignore Dubegnì Cursores, ed il Capitano Gabriello.
La guardia degli uomini di piè è di alamanni, delli quali cento ne sono pagati di dodoci franchi il mese; e ne soleva tenere fino in trecento con pensione di dieci franchi, e di più, a tutti duoi vestimenti, l’anno per uno, cioè: uno la state e uno el verno, cioè giubbone e calze a livrea; e quelli cento del corpo avevono giubboni di seta, e questo al tempo del re Carlo.
Forieri sono quelli che sono preposti ad alloggiare la corte e sono trentadue, ed hanno trecento franchi ed uno saione l’anno a livrea. Li loro Maniscial sono quattro; ed hanno seicento franchi per uno; e nello allogiare tengono questo ordine, cioè si dividono in quattro; ed un quarto con un Maniscial o suo luogotenente, quando non fussi in corte, rimane dove la corte si parte, acciò sia facto il dovere ai padroni delli alloggiamenti; uno quarto ne va colla persona del re; e uno quarto, dove il dì debbe arrivare il re, a preparare alla corte li alloggiamenti; e l’altro uno quarto ne va dove il re debbe andare il dì dipoi. E tengono un ordine mirabile, in modochè allo arrivare ciascuno ha suo luogo, fino alle merertici.
Il preposto dello Ostello è un uomo che seguita sempre la persona del Re, e l’ufficio suo è merum imperio, ed in tutti quelli luoghi che va la corte, il banco suo è primo, e puossi quelli della terra propria dove si truova gravare da lui come dal proprio luogotenente. Quelli che per cause criminali sono presi per sua mano non possono appellare alli Parlamenti. Il salario suo ordinario è sei mila franchi. Tiene due giudici in civile, pagati dal re di seicento franchi lo anno per uomo; così un luogotenente in criminale che ha trenta arcieri pagati, come di sopra. Ed espedisce così in civile come in criminale, e una sola volta che lo actore si abochi col reo alla presenzia sua basta ad espedire la causa.
Maestri di Casa del Re sono otto: ma non ci è ordine fermo tra loro di salario, perché chi ha mille franchi, chi più e chi meno come pare al Re. E dipoi il gran Mastro che successe in luogo di Monsignor di Ciamonte è Monsignor della Palissa, il padre del quale ebbe già il medesimo ufficio, che ha undicimila franchi, e non ha altra autorità che essere sopra gli altri mastri di Casa.
L’Ammiraglio di Francia è sopra tutte le armate di mare ed ha cura di quelle, e di tutti i porti del Regno. Può prendere dei legni, e fare come piace a lui de’ legni dell’armata: Ed ora è Preianni, ed ha di salario diecimila franchi.
Cavalieri dell’ordine non hanno numero, perché sono tanti quanti il Re vuole. Quando sono creati giurano di difendere la corona, e non venire mai contro a quella, e non possono mai esser privati se non alla morte loro. La pensione loro è il più quatrromila franchi, e ne è qualcuno di meno e simil grado non si dà ad ogniuno.
L’ufficio de’ Ciamberlani è intrattenere il Re, prevenire alla camera del Re, consigliarlo; ed infatti sono i primi del regno per riputazione. Hanno gran pensione, sei, otto, diecimila franchi, e qualcuno niente, perché il Re ne fa spesso per onorarne qualche uomo da bene, eziandio forestiere. Ma hanno privilegio nel regno di non pagare gabelle, e sempre in corte hanno le spese alla tavola de’ Ciamberlani, che è la prima dopo quella del Re.
Il grande scudiere sta sempre appresso del re. L’ufficio suo è sempre essere sopra gli dodici scudieri del Re, come è il gran Mastro, ed il Gran Ciamberlano sopra gli suoi, ed aver cura de’ cavalli del Re, metterlo e levarlo da cavallo, aver cura agli arnesi del Re, e portargli la spada avanti.
I Signori del Consiglio hanno tutti pensione di sei in ottomila franchi come pare al Re, e sono Monsignor di Parigi, Monsignor di Buovaglia, il Baglì di Amiens, Monsignor di Bussì, ed il gran Cancelliere; ed in fatto Rubertet, e Monsignor di Parigi governano il tutto.
Non si tiene adesso tavola per nissuno di poi morì il Cardinale di Roano. Perché il gran Cancelliere non ci è, fa l’officio Parigi.
La ragione che pretende il Re di Francia in su lo stato di Milano è, che l’avolo suo ebbe per donna una figliuola del Duca di Milano, il quale morì senza figliuoli maschi.
Il Duca Giovanni Galeazzo ebbe due figliuole femmine, e non sò quanti maschi. Tra le femmine ne fu una che si chiamò Madonna Valentina, e fu maritata al Duca Lodovico d’Orliens, avolo di questo Re Luigi, disceso pure della schiatta di Pipino. Morto il Duca Giovanni Galeazzo gli successe il Duca Filippo suo figliuolo, il quale morì senza figliuoli legittimi, e lasciò solo di se una femmina figlia bastarda. Fu poi usurpato quello stato da questi Sforzeschi illegittimamente, ut dicunt; perché costoro dicono quello stato pervenire alli successori ed eredi di quella Madonna Valentina, e dal giorno che Orliens s’imparentò col Milanese, accompagnò l’arme sua de’ tre gigli con una biscia, e così ancora si vede.
In ciascuna parrocchia di Francia è un uomo pagato di buona pensione dalla detta parrocchia, e si chiama il franco arciere, il quale è obbligato tenere un cavallo buono, e stare provvisto d’armature ad ogni requisizione del Re, quando il Re fusse fuori del regno per conto di guerra, o d’altro. Sono obbligati a cavalcare in quella provincia dove fusse assaltato il regno, o dove fusse sospetto, che secondo le parrocchie sono un milione e settecento.
Gli alloggiamenti per obbligo dell’ufficio loro danno i forieri a ciascuno che segue la corte; e comunemente ogni uomo da bene della terra allogia cortigiani. E perchè nessuno abbia causa di dolersi, così colui che allogia come colui che è allogiato, la corte ha ordinato una tassa, che universalmente si usa per ciascuno, cioè soldi uno per camera il dì, dove ha a essere letto e cuccietta, e mutati almanco ogni otto dì.
Danari due per uomo il giorno per i lingi, cioè tovaglie, tovagliolini, aceto, agresto, e sono tenuti a mutare detti lingi almanco due volte la settimana; ma per averne il paese abbondanza gli mutano più e meno, secondo che l’uomo domanda. E di più sono obbligati di governare, spazzare, e rifare le letta.
Danari dodici ciascun giorno e per ciascuno cavallo per lo stallaggio, e non sono tenuti per li cavalli darvi cosa alcuna, salvo che vuotarvi la stalla dal letame.
Sono assai che pagano meno o per la buona natura loro o del padrone; ma tuttavolta questa è la tassa ordinaria della corte.
Le ragioni che pretendono avere gl’Inghilesi in sul reame di Francia e più fresche, ritraggo e trovo esser queste. Carlo VI di questo nome maritò Caterina figliuola sua legittima e naturale a Enrico figliuolo legittimo e naturale di Enrico Re d’Inghilterra, e nel contratto, senza fare menzione alcuna di Carlo VII che fu poi Re di Francia, oltre alla dote data a Caterina, istituì erede del reame di Francia doppo la morte sua, cioè di Carlo VI, Enrico suo genero e marito di Caterina; ed in caso che detto Enrico morisse avanti a Carlo VI suo suocero e lasciasse di se figliuoli legittimi e naturali maschi, che in tal caso ancora i detti figliuoli di Enrico succedessino a Carlo VI. Il che per essere stato preterito dal padre Carlo VII non ebbe effetto, per essere contro le leggi. All’incontro di che gl’Inghilesi dicono, detto Carlo VII esser nato d’incestuoso concubito.
Gli Arcivescovadi d’Inghilterra sono due. Vescovadi ventidue. Parrocchie cinquantadue mila.
[*]Il testo, scaricato da https://it.wikisource.org il 6 ottobre 2018, in alcuni punti è stato modernizzato